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Come il riscaldamento globale ha reso i ricchi ancora più ricchi

Il cambiamento climatico fa male prima di tutto ai poveri, dice il cartello tenuto da questa manifestante. (Photo by WIktor Szymanowicz/NurPhoto)
Il cambiamento climatico fa male prima di tutto ai poveri, dice il cartello tenuto da questa manifestante. (Photo by WIktor Szymanowicz/NurPhoto)

Il riscaldamento globale e le conseguenze che sta portando nell’economia sono due pesanti fardelli che hanno reso i ricchi ancora più ricchi e i poveri molto più poveri.

Uno studio dell’Università di Stanford (California) ha messo in luce come il gap tra i paesi più ricchi e i paesi più poveri sia cresciuto del 25% in più, rispetto a un mondo senza cambiamenti climatici in corso, dovuti con tutta probabilità all’inquinamento prodotto dall’uomo. Un esempio pratico: paesi come la Mauritania e il Niger, a latitudini tropicali, hanno visto il loro prodotto interno lordo crollare del 40%, per cause tutte ricollegabili al riscaldamento globale e alla partenza dei migranti climatici.

Anche i paesi in crescita, come India e Brasile, sarebbero stati più competitivi economicamente senza il riscaldamento globale. L’India è la 5° economia al mondo, e il Brasile la 9°: senza i guai climatici sul nostro pianeta sarebbero molto più ricchi. Viceversa, le economie mondiali che sono cresciute di più sono quelle ‘classiche’. Ed è curioso notare come all’aumento delle emissioni di CO2 corrisponde un aumento della ricchezza; la stessa CO2 che sulla carta tutti vorrebbero ridurre.

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Dunque, ai paesi ricchi importa davvero di lottare contro il riscaldamento globale, riducendo le emissioni? Dal punto di vista dell’economia, può esserci un conflitto d’interessi. Un esempio lampante è Donald Trump, che nega con forza un problema di clima auspicando invece un aumento dei consumi. Perché invece un paese come l’India dovrebbe essere in prima fila contro il riscaldamento globale? Essendo un paese ancora in via di sviluppo per molti aspetti, si trova sulla linea ‘calda’ del pianeta.

Lo studio di Stanford ha analizzato la relazione tra temperature e fluttuazioni economiche in 165 paesi, in un periodo che va dal 1961 al 2010. Sono stati usati oltre 20 modelli climatici, e sono state calcolate circa 20mila proiezioni economiche in un quadro climatico senza pericolose derive.

Secondo la ricerca, la crescita è salita nei paesi più ‘freddi’ negli anni nei quali la temperatura era più alta della media; negli stessi anni, l’economia dei paesi più caldi (tropicali e equatoriali) si è fermata. Di conseguenza nei paesi più freddi la temperatura raggiunta ha permesso all’agricoltura di dare più raccolti e di mettere in moto consumi, lavoro e settore industriale, sfruttando al massimo il clima temperato; nei paesi più caldi la situazione è ovviamente peggiorata.

A maggiori temperature corrispondono una riduzione dell’attività produttiva, una riduzione dell’iniziativa tecnologica e un aumento dei conflitti personali e politici. Questi effetti sono riconosciuti in realtà sin dalla rivoluzione industriale, ma il riscaldamento globale li ha mostrati più aggressivamente.

Tutti i 18 Paesi che hanno prodotto meno di 10 tonnellate di CO2 pro capite nel periodo in esame (1961-2010) hanno avuto una riduzione media del 27% del prodotto interno lordo rispetto a quanto avrebbero potuto ottenere senza riscaldamento globale. Mentre 14 dei 19 paesi più inquinatori (300 tonnellate di CO2 pro capite) hanno visto aumentare il PIL del 13% in media.

Anche un paese come il Sudafrica, sicuramente più ricco dei paesi a nord nel continente africano, fa fatica a gestire le bizze del clima: nel 2018/19 ha affrontato una siccità di dimensioni enormi e pochi mesi dopo un’alluvione. Qui arriva la considerazione finale dello studio: l’Africa non ha sostanzialmente contribuito all’aumento dell’inquinamento, ma è la zona del pianeta che ne paga le conseguenze più grandi.

A lungo termine anche i paesi più freddi avranno problemi, in quanto temperature troppo alte faranno superare quel valore ideale che ha permesso fino a ora una crescita economica costante.

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