Con la global tax, addio al cargo battente bandiera liberiana
Avete presente l’Ever Given, la nave portacontainer da 200mila tonnellate che a marzo è rimasta incagliata per una settimana nel canale di Suez bloccando i traffici commerciali tra Oriente e Occidente? Lo scafo, oggi liberato dal fondale egiziano ma ancora arenato in una guerra legale per il risarcimento dei danni, è di proprietà dell’armatore giapponese Shoei Kisen Kaisha, gestito dalla compagnia taiwanese Evergreen eppure battente bandiera panamense. L’Ever Given non rappresenta un caso isolato, anzi gran parte delle navi che solcano i mari batte bandiere cosiddette “di comodo”, come quelle di Panama, Isole Marshall, Liberia, Paesi con cui gli armatori non hanno alcun legame reale. Questa abitudine potrebbe presto finire se la global minimum tax dovesse andare in porto. C’è infatti un tema poco discusso ma strettamente legato alla tassa minima globale approvata poche settimane dal G7 di Londra sotto la spinta dell’amministrazione americana targata Joe Biden e Janet Yellen, segretario al Tesoro Usa. Si tratta della tassazione a dir poco privilegiata di cui beneficiano da anni le grandi compagnie di navigazione. Sussidi diretti, esenzioni fiscali e soprattutto la consuetudine delle navi di battere bandiere di convenienza (FoC, flag of convenience) hanno permesso agli armatori di accumulare negli anni lauti guadagni grazie a una elusione fiscale più o meno mascherata ma comunque permessa da governi quantomeno distratti.
Da settimane nel settore marittimo va avanti una discussione sull’esenzione dalla global tax per le grandi compagnie, come richiesto sottotraccia da queste ultime, o meno, come richiesto da tutti gli altri attori della catena logistica (terminalisti, spedizionieri eccetera). Non è ancora chiaro quali connotati avrà la tassa globale al termine delle contrattazioni politiche: le discussioni stanno entrando nel vivo in questi giorni tra i 139 Paesi...
Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.