Con le nuove tasse si restituisce qualcosa alla classe media (se i partiti fanno i bravi)
Come si dice con un’espressione abusata ma sempre efficace, il diavolo è nei dettagli. E quando si parla di riforma delle tasse il diavolo più precisamente è negli scaglioni. La premessa è doverosa quando ci si appresta a dare una prima valutazione della revisione delle aliquote Irpef che il governo s’appresta a varare tramite un emendamento da inserire nella prossima manovra. Una revisione che sembra prender forma nelle sue linee generali ma sulla quale i partiti di maggioranza ancora non sono riusciti a stringere un accordo definitivo. Quindi c’è ancora la possibilità che tutto cambi, almeno fino a quando l’emendamento che dovrà distribuire fra i 6 e gli 8 miliardi ai lavoratori italiani non sarà confezionato e condiviso da tutti. Detto questo, a una prima occhiata la riduzione delle prime due aliquote permetterà finalmente alla classe media, ossia a chi negli ultimi anni è stato più tartassato dal fisco, di vedere restituito qualcosa, una parte - seppur minima - del reddito prodotto ogni anno ma poi girato allo stato per sostenere le spese e gli investimenti della collettività. E dio solo sa quanto questa restituzione possa essere importante per innescare il circolo virtuoso fiducia-consumi-crescita, necessario per consolidare il recupero dell’economia italiana dopo le varie ondate Covid.
Lo schema di massima a cui sta lavorando il Tesoro per distribuire gli 8 miliardi stanziati in manovra è sostanzialmente questo: per quanto riguarda le cifre, l’idea è quella di dare orientativamente 6 miliardi ai lavoratori e 2 alle imprese; concentrandoci sui 6 miliardi, il ministro Franco avrebbe l’intenzione di operare direttamente sulle aliquote, riducendole dalle cinque attuali a quattro, diminuendo il peso delle due intermedie. Più precisamente la sequenza è 23-25-34-43% al posto di 23-27-38-41-43%. Sembra un rompicapo ma non lo è: si riducono le aliquote che vanno a colpire di più i ceti medi ovvero quella del 27 che diventa 25 e quella del 38 che diventa 34. Un bel risparmio per le fasce di reddito che arrivano a guadagnare fino a 55mila euro lordi annui (anche perché è previsto un aumento della no tax area per i meno abbienti e il rafforzamento di alcune detrazioni). Qui sembra esserci lo scarto rispetto a quanto fatto dai governi precedenti: sia a quello Berlusconi, che si limitò a una risibile limatura delle aliquote, sia a quello Renzi, che con i suoi 80 euro poi diventati 100 grazie a Conte ha dato un sollievo soprattutto ai redditi medio bassi. Invece allargare questi benefici a chi ha un livello di introito maggiore significa finalmente dare un po’ di respiro alla maggior parte delle famiglie italiane, non solo quelle che sono più a rischio scivolamento sotto la soglia della povertà o quanto meno la soglia dell’ “arrivo a fine mese”.
Ovviamente si potrebbe sempre fare di più, magari dando qualche vantaggio anche a una fascia leggermente più alta, che in questo schema non si vede rappresentata. “Con questi nuovi scaglioni chi guadagna fino a 80-100mila euro rischia di vedere più o meno immutata la sua situazione perché i risparmi fiscali della riduzione delle due aliquote potranno essere compensati dalla scomparsa dell’aliquota al 41% - ci dice Mariano Bella, direttore dell’ufficio studi di Confcommercio -. E questo non è molto giusto per chi di fatto contribuisce a pagare buona parte delle tasse”. Ma in ogni caso fare politiche a favore di tutta la classe media, non solo quella medio-bassa, è un passo avanti di non poco conto rispetto al recente passato. Anche perché dare un aiuto a quelle famiglie che negli ultimi due anni di pandemia hanno rinviato spese o investimenti per la grande incertezza legata al Covid non è cosa di poco conto. Si tratta di un’iniezione di fiducia che potrebbe spingere i consumi ben più del classico effetto di trasmissione di breve periodo e quindi contribuire a consolidare l’effetto rimbalzo che quest’anno farà schizzare il pil italiano a +6,3%. “Per ottenere questo effetto leva sui consumi però bisogna affiancare la riforma fiscale almeno alla promessa di affrontare una seria spending review per contenere in prospettiva deficit e debito pubblico, altrimenti la fiammata rischia di essere estemporanea”, aggiunge Bella. Proprio quello che Draghi intende scongiurare.
Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.