Annuncio pubblicitario
Italia markets open in 2 hours 44 minutes
  • Dow Jones

    38.460,92
    -42,77 (-0,11%)
     
  • Nasdaq

    15.712,75
    +16,11 (+0,10%)
     
  • Nikkei 225

    37.706,28
    -753,80 (-1,96%)
     
  • EUR/USD

    1,0710
    +0,0009 (+0,09%)
     
  • Bitcoin EUR

    59.863,98
    -2.413,03 (-3,87%)
     
  • CMC Crypto 200

    1.389,12
    -34,98 (-2,46%)
     
  • HANG SENG

    17.295,93
    +94,66 (+0,55%)
     
  • S&P 500

    5.071,63
    +1,08 (+0,02%)
     

Cos'è il precariato e quali sono i contratti precari?

Il precariato è sicuramente uno dei flagelli della nostra epoca, per tutti i lavoratori e in particolare per i giovani. La Riforma del Lavoro approvata lo scorso 27 giugno dalla Camera avrebbe dovuto, nelle intenzioni dichiarate dal ministro Fornero e dal governo, mettere in atto meccanismi per migliorare la situazione e le condizioni di vita di chi non può avere prospettive economiche che possano andare al di là di qualche mese (nei migliori dei casi). Non la pensa così il famoso blog di San Precario, che denuncia come alcune misure approvate vadano in realtà contro i precari stessi. E non la pensa così neanche il direttore generale di Confcommercio, Francesco Rivolta, che, a margine dell'incontro "Fondata sul lavoro" organizzato da Il Diario del Lavoro, ha definito la riforma una grandissima occasione sprecata "innanzitutto perché non è questo il momento per pensare di modificare gli ammortizzatori sociali con 2 milioni e 800 mila persone che cercano lavoro, con mobilità e licenziamenti in corso." e ha aggiunto "Noi non confondiamo la precarietà con il lavoro a tempo determinato." e ancora "il ministro Fornero si occupi soprattutto della pubblica amministrazione perché la più grande fabbrica di disoccupazione e lavoro precario è proprio la pubblica amministrazione". Dichiarazioni destinate sicuramente a far discutere, ma che dovrebbero soprattutto far riflettere.
Ma cosa si intende realmente per lavoro precario? Il precariato è ormai quasi più una condizione esistenziale che una semplice forma di contratto lavorativo. Anche perché di contratti che si possono definire "a termine" ne esistono moltissimi, in vari settori e di diversa natura. I principali sono il contratto a progetto (quello che un tempo era il famoso co.co.co.), il contratto a tempo determinato (che, per il tempo della sua durata, almeno in genere offre le stesse garanzie di quello a tempo indeterminato) e le cosiddette finte partite IVA (che nella quasi totalità dei casi un contratto non ce l'hanno neanche). Ci sono poi tirocini, stage, contratti di inserimento, apprendistato e così via, tutte forme caratterizzate dall'elemento comune della mancanza di continuità del rapporto di lavoro (e spesso di adeguate condizioni lavorative) che porta all'insicurezza economico-sociale e all'impossibilità di poter progettare un futuro per il lavoratore.
Il precariato è stato introdotto in Italia con la legge 196 del 1997, il Pacchetto Treu, che ha legalizzato le agenzie interinali con l'obiettivo di favorire l'occupazione, che all'epoca si intendeva principalmente a tempo indeterminato. Ma poi si è cominciato a battere sul tema della flessibilità (parola molto meno inquietante di "precarietà") con una vera e propria operazione di martellamento culturale votata a far percepire il lavoro flessibile come una necessità ineludibile del nuovo mercato del lavoro globalizzato. Un'operazione culturale potentissima che è poi sfociata nella legge 30 del 2003, comunemente detta Legge Biagi, che ha introdotto 47 tipologie di contratti "flessibili". Ma se la flessibilità è sicuramente un valore per quei professionisti che possono volontariamente costruire la propria carriera accettando incarichi diversi all'interno della stessa azienda o per aziende diverse (e in luoghi diversi) nel corso della propria vita, questa stessa flessibilità diventa precariato laddove le forme di lavoro a termine vengono utilizzate dai datori di lavoro semplicemente per aggirare le norme sui licenziamenti (che in questo modo diventano semplicemente non rinnovare più il contratto), tenere costantemente i lavoratori sotto il ricatto del rinnovo della collaborazione (che spesso ha durata di pochi mesi) e pagare meno contributi. Magari per poter offrire un compenso più alto ai manager e ai dirigenti, anch'essi, molto spesso, assunti con contratti a termine, ma con ben altre condizioni e trattamenti economici rispetto alla massa dei lavoratori comuni. Già, perché una delle condizioni che dovrebbe contraddistinguere l'accettazione di un lavoro a termine (che quindi non offre garanzie di continuità) dovrebbe essere una remunerazione più alta rispetto al lavoratore assunto a tempo indeterminato, anche per poter affrontare con maggior sicurezza gli intervalli di disoccupazione tra un lavoro e l'altro. Ma chiunque viva nella realtà sa benissimo che così non è. Anzi,in Italia gli stipendi sono mediamente più bassi rispetto ad altri stati europei e soprattutto i precari sono obbligati, proprio per l'impossibilità di accumulare un minimo risparmio, ad accettare compensi molto inferiori a quello che sarebbe il reale valore delle mansioni svolte e spesso anche condizioni di lavoro proibitive o per lo meno frustranti.
Fa capitolo a sé quello del lavoro nero, precario per sua stessa natura, ma che si porta dietro tutta un'altra serie di problematiche aggiuntive per quanto riguarda la sicurezza, la legalità e i margini di sfruttamento.