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Cos’è il downshifting: storie dal cambiamento

Lavorare meno, godersi la vita: una scelta interessante, ma non per tutti

Downshifting (Fotolia)

Tra le parole più gettonate al tempo della crisi figura “downshifting” ovvero, letteralmente, scalare di marcia. Più metaforicamente rallentare, rimodularsi, ripensare le spese, cambiare passo decelerando. Un concetto che, in campo economico, si sposa bene con l’altro imperativo cult, quello della decrescita, ma che in un’ottica più esistenziale significa rivedere molte certezze.

Dopo aver speso anni a tentare la scalata economica, sociale, lavorativa, chi opta per il dowshifting di fatto se la prende con calma, smette di affannarsi, ripiega su mansioni meno prestigiose ma che gli consentono di prendersi cura di se stesso, della famiglia, degli hobby. Insomma, quell’aurea mediocrità che sembrava avvilente a vent’anni, diventa poi agognatissima quando ansia da prestazione e perdita di contatto con il resto del mondo rischiano di travolgere l’individuo.

Un cambiamento di indirizzo che certo fa proseliti, anche a livello ideologico, fra quelli  che vivono la stagione del riflusso personale e che magari hanno partecipato con gioia l’era dei consumi infiniti e di un certo yuppismo post anni Ottanta. Adesso è tempo di guadagnare meno e vivere meglio, se possibile diffondendo il verbo. Tra gli alfieri all’italiana del fenomeno figura Simone Perotti, vero guru della materia, autore di libri come 'Adesso Basta' e 'Avanti tutta', che chiariscono come svoltare.

Perotti sa di cosa parla: lavorava come manager nel campo della comunicazione e ha mollato tutto per darsi alla scrittura e alla navigazione. Secondo Perotti, con 850 euro al mese un single vive bene, se distingue i bisogni dai desideri, si concentra sull’essenziale e magari pratica su tutte quelle prassi che rientrano nell’ambito della sharing economy (baratto, banche del tempo, cohousing ).

Ma il cambio di passo al ribasso è una scelta solo per manager? Non proprio come dimostra la storia, pubblicata sul magazine Sette del Corriere della Sera nel 2012, di Francesco Cingolani e Valentina Brogna, entrambi poco più che trentenni, lui architetto, lei cooperante a livello internazionale. Hanno deciso di svoltare, a Parigi: lui ha deciso di continuare con l’architettura, ma scrivendo; lei invece di capitalizzare una delle grande tradizioni italiane, ovvero fare la pasta a mano.

Non mancano casi celebri, come quello dell’ex soubrette spagnola Natalia Estrada: dopo gli anni del grande successo su Canale5, la Estrada ha cambiato vita, e vive nell’astigiano, dove si occupa di cavalli ed equitazione. Si potrebbero poi portare a esempio tutti quei casi di giovani che, pur potendo fare un lavoro aderente ai prestigiosi percorsi di studio intrapresi, cambiano rotta e decidono di aprire attività in proprio, in genere nel ramo della piccola ristorazione, o passano da professioni specializzate e intellettuali a lavori nobili ma più manuali.

Scelte legittime, se dettate dalla consapevolezza di non voler vivere schiacciati dalle ansie di prestazione e rimanere schiavi del sillogismo: “lavoro di più, guadagno di più, 'sono' di più”.  Il downshifting, sul piano prettamente lavorativo, è ad appannaggio di chi ha qualcosa a cui rinunciare, e nella stagione di precarietà e disoccupazione che il Paese attraversa, si può dirlo con franchezza, è davvero una scelta per pochi. Per tutti è invece aperta la possibilità di ripensare gli stili di vita che non sono più sostenibili, non solo dalle tasche ma anche dal pianeta.