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Covid, il vademecum per le cure a casa

Justin Paget via Getty Images

La Società italiana di medicina generale e delle cure primarie (Simg) e la Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) hanno pubblicato un vademecum che spiega come prendersi cura a domicilio dei malati di Covid-19.

"Anche se oggi conosciamo meglio questo virus - ha sottolineato Claudio Cricelli, presidente della Simg - e possediamo strumenti utili a identificare i soggetti che possano più facilmente sviluppare una forma aggressiva della malattia, è necessario utilizzare indicazioni semplici e comprensibili sulla base delle evidenze scientifiche disponibili e delle raccomandazioni ufficiali del ministero della Salute e dell'Istituto superiore di sanità".

Il documento contiene le risposte a 11 quesiti con indicazioni su ospedalizzazione, antivirali, integratori e antibiotici.

1. Come possono i medici identificare i pazienti COVID-19 asintomatici, lievi, moderati o gravi?

Secondo l’OMS, il caso di Covid-19 asintomatico è definito come una persona con un test di amplificazione degli acidi nucleici (NAAT) positivo per Sars-CoV-2 in assenza di sintomi. Il paziente sintomatico lieve soddisfa invece la definizione di caso di COVID-19 senza evidenza di polmonite virale o ipossia. Una malattia moderata può includere: segni clinici di polmonite (febbre, tosse, dispnea, respiro veloce) ma nessun segno di polmonite grave, inclusa la saturazione periferica di ossigeno (SpO2) ≥92% in aria/ambiente. La malattia grave è definita dai segni clinici di polmonite (febbre, tosse, dispnea, respiro veloce) associata a frequenza respiratoria> 30 atti / minuto, grave distress respiratorio o SpO2 <90% in aria ambiente.

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2. Quali pazienti COVID-19 potrebbero essere trattati a casa?

La decisione se isolare e curare un paziente COVID19 a casa dipende dalla valutazione clinica effettuata caso per caso dei soggetti COVID19 positivi. I pazienti asintomatici o quelli con malattia lieve o moderata senza fattori di rischio per evoluzione sfavorevole (inclusi età> 60 anni, fumo, obesità, malattie cardiovascolari, diabete mellito, malattia polmonare cronica, malattia renale cronica, immunosoppressione e cancro) possono non richiedere intervento medico in urgenza o ricovero ospedaliero e potrebbero essere sufficientemente assistiti presso il loro domicilio.

3. Come gestire la febbre nei pazienti COVID-19 a casa?

L’OMS raccomanda che i pazienti COVID-19 ricevano un trattamento per la febbre e dolore associato all’infezione. Il paracetamolo è suggerito come una scelta sicura e raccomandabile per la gestione precoce e domiciliare dello stato febbrile nei pazienti COVID-19. I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), inclusi l’acido acetilsalicilico e l’ibuprofene, sono risultati efficaci nel trattamento della sindrome simil-influenzale COVID19 correlata [3] ed inoltre dimostrano un potenziale beneficio nel contrastare la tempesta citochinica proinfiammatoria generata dall’infezione con conseguente riduzione del rischio di peggioramento delle manifestazioni respiratorie [6-8]. Si consiglia di non eccedere le dosi raccomandate, ovvero tre grammi al giorno per il paracetamolo. Occorre prestare attenzione ai possibili effetti collaterali dovuti ai FANS che, come è noto, possono provocare danni renali, epatici e gastrici, e precipitare uno scompenso cardiaco. Si raccomanda inoltre, durante le malattie febbrili, di assicurare un adeguato stato di nutrizione e idratazione.

4. Quali parametri clinici dovrebbero essere valutati a casa?

La pulsossimetria domiciliare, valutata a riposo e dopo sforzo (test del cammino o della sedia), è un modo sicuro e non invasivo per valutare la saturazione di ossigeno nel sangue e permette l’identificazione precoce di bassi livelli di ossigeno nei pazienti con COVID-19 e può identificare le persone che necessitano di ossigenoterapia o ospedalizzazione. La frequenza respiratoria è un altro parametro facilmente valutabile a casa. La tachipnea è un termine usato per definire la respirazione rapida e superficiale, che non deve essere confusa con l’iperventilazione, che si verifica quando il respiro di un paziente è rapido ma profondo. La tachipnea negli adulti è definita dalla presenza di più di 20 atti respiratori/minuto, considerando che 10-20 atti respiratori/minuto rappresentano il limite della norma.

5. Quando un paziente COVID-19 dovrebbe essere ospedalizzato?

La saturazione periferica di ossigeno superiore al 92% (SpO2> 92%), misurata mediante pulsossimetria in aria ambiente, è considerata un limite di sicurezza per la gestione a casa di un paziente COVID-19 [3]. L’ossigenoterapia è raccomandata quando la frequenza respiratoria supera i 20 / atti minuto e la SpO2 è uguale o inferiore al 92% o al 90% in pazienti con BPCO, in aria ambiente. Il ricovero è necessario quando i segni vitali diventano instabili ma anche quando la SpO2 diminuisce rapidamente, cioè entro 2 ore. I pazienti scarsamente sensibili alla somministrazione di O2 dovrebbero essere urgentemente ricoverati in ospedale, se fattibile. La decisione di ricoverare un paziente COVID-19 dipende anche dall’impossibilità di fornire un’adeguata assistenza domiciliare a causa delle condizioni socio-familiari di base.

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6. Quale trattamento antivirale potrebbe essere utile a casa per i pazienti con COVID-19 da lieve a moderato?

La somministrazione di terapia antivirale non è raccomandata a domicilio. Data l’evidenza di inefficacia lopinavir / ritonavir non è raccomandato per il trattamento di pazienti con COVID-19. L’unico antivirale per il quale esistono alcune prove di efficacia contro COVID-19 è Remdesivir, un inibitore della RNA polimerasi virale RNA dipendente con attività inibitoria in vitro contro SARS-CoV-1 e sindrome respiratoria mediorientale causata da MERS-CoV. Remdesivir è indicato per i pazienti COVID-19 con polmonite che ricevono ossigeno, esclusi i pazienti che necessitano di ossigeno ad alto flusso o ventilazione meccanica non invasiva o ventilazione meccanica o ossigenazione extracorporea a membrana (ECMO). Remdesevir non è quindi adatto per l’assistenza domiciliare e deve essere riservato ai pazienti ospedalizzati con coinvolgimento polmonare nella fase iniziale della malattia.

7. È utile somministrare idrossiclorochina o clorochina per il trattamento domiciliare dei pazienti COVID-19?

L’idrossiclorochina, è un farmaco antinfiammatorio utilizzato contro i disordini reumatologici; la clorochina è un farmaco anti-malarico usato per prevenire e curare la malaria nelle aree in cui la malaria rimane sensibile alla clorochina. Alcuni autori hanno suggerito l’uso di idrossiclorochina o clorochina per la prevenzione o il trattamento domiciliare precoce dei pazienti COVID-19. Tuttavia, in una recente revisione sistematica e meta-analisi di studi randomizzati controllati, non è stata trovata alcuna prova dell’efficacia dell’idrossiclorochina o della clorochina. Al contrario, sono stati descritti eventi avversi successivi alla sua somministrazione, incluso il prolungamento dell’onda QT e la degenerazione maculare. Pertanto, attualmente non ci sono indicazioni sul trattamento con idrossiclorochina o clorochina per i pazienti COVID-19.

8. La profilassi antitrombotica è giustificata per i pazienti COVID-19 a casa?

Nell’aprile 2020, l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) ha incluso l’eparina a basso peso molecolare (EBPM) tra i farmaci disponibili per il trattamento del paziente COVID-19. COVID-19 è una malattia particolarmente debilitante, anche per i pazienti con sintomi lievi, pertanto, i pazienti sono spesso costretti a letto per diverse settimane, con un rischio maggiore di eventi tromboembolici. L’eparina può proteggere l’endotelio, probabilmente riducendo il livello dei biomarcatori infiammatori, e può prevenire la disfunzione polmonare micro e macrocircolatoria e possibilmente limitare il danno d’organo. Pertanto, i pazienti COVID-19 costretti a letto con sintomi respiratori acuti potrebbero essere trattati con EBPM a casa per prevenire il tromboembolismo polmonare. Si raccomanda una singola iniezione sottocutanea giornaliera di enoxaparina alla dose profilattica 40 mg / die (4000 UI, 20 mg / die in presenza di insufficienza renale grave ≤15-30 ml / min / 1,73 m2 o peso corporeo <45 kg) fino a quando il paziente non recupera la mobilità. Dosi maggiori sono da considerare allorquando si sospetti un microembolismo polmonare e si è in attesa di ricovero ospedaliero: 80 mg / die (8000 UI) in pazienti con funzione renale normale e peso corporeo normale (45-100 kg) o malattia renale cronica da lieve a moderata (> 30 ml / minuto / 1,73 m2); 100 mg / die (10.000 UI) in pazienti con peso corporeo elevato (> 100 kg); 40 mg / die (4000 UI) in pazienti con malattia renale da moderata a grave) o basso peso corporeo (<45 kg).

9. Quando è utile somministrate gli steroidi a casa per i pazienti COVID-19?

Poiché le forme più gravi di COVID-19 sono il risultato della reazione eccessiva del sistema immunitario al virus stesso, inclusa la tempesta di citochine e l’insufficienza multiorgano, l’uso di farmaci in grado di spegnere l’infiammazione può produrre importanti benefici in termini di controllo della malattia. Il desametasone, un ben noto corticosteroide, ha dimostrato una riduzione dei decessi per COVID-19 di un terzo nei pazienti con ventilatore e di un quinto in quelli con ossigeno. Tuttavia, i pazienti che si trovano in una fase iniziale dell’infezione possono essere svantaggiati dalla somministrazione di steroidi che potenzialmente causano un ritardo nella clearance del virus e inibiscono la proliferazione dei linfociti. L’uso di corticosteroidi dovrebbe essere limitato solo ai pazienti con importanti disfunzioni polmonari che richiedono assistenza respiratoria spesso combinata con altri rimedi. L’OMS raccomanda l’uso di steroidi nel COVID-19 solo per malattia severa ed è contraria al suo utilizzo su pazienti COVID-19 non gravi. La maggior parte dei pazienti COVID-19 a casa non è grave, quindi l’uso di steroidi a domicilio è limitato.

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10. Quando è indicato somministrare antibiotici ai pazienti COVID-19 a casa?

Dall’inizio dell’epidemia di COVID-19, per il trattamento precoce di questa infezione sono stati proposti antibiotici con proprietà immunomodulatorie come l’azitromicina. Tuttavia, la terapia antibiotica per il trattamento di un’infezione virale è inefficace e non raccomandata. Le evidenze della letteratura scientifica non supportano l’uso dell’azitromicina nel trattamento del COVID-19. In una recente meta-analis pubblicata, la coinfezione batterica è stata identificata solo nel 3,5% dei pazienti COVID-19 che necessitavano di ricovero ospedaliero; pertanto, la maggior parte dei pazienti COVID-19 a casa non richiede un trattamento antibatterico empirico. Nei pazienti COVID-19, l’uso diffuso di antibiotici deve essere scoraggiato, poiché in assenza di beneficio comporta un’elevata insorgenza di resistenze batteriche e sviluppo secondario di germi resistenti che avranno un impatto sul carico di malattia e decessi sia durante la pandemia COVID-19 che dopo. In conclusione, gli antibiotici non dovrebbero essere prescritti a casa a meno che non vi sia un forte sospetto clinico di una superinfezione batterica durante il corso di COVID-19, come evidenziato da una ricomparsa di febbre dopo un periodo di defervescenza e / o evidenza radiologica di polmonite di nuova insorgenza e/ o evidenza microbiologica di infezione batterica. La maggior parte di questi episodi si verifica durante lunghi soggiorni in ospedale, soprattutto in terapia intensiva e durante la ventilazione meccanica. Solo in presenza di forte sospetto di superinfezione batterica, i pazienti gestiti a casa dovrebbero ricevere antibiotici secondo le linee guida per il trattamento della polmonite acquisita in comunità.

11. Integratori alimentari: sono efficaci per prevenire o curare COVID-19?

Alcuni integratori alimentari sono stati proposti come potenzialmente utili contro SARS-CoV-2, ma pochi sono stati clinicamente studiati. La lattoferrina è una glicoproteina legante il ferro della famiglia della transferrina che si trova nella maggior parte dei fluidi corporei con proprietà antinfiammatorie e immunomodulatorie. Vari studi ne hanno proposto l’uso in profilassi o come terapia del COVID-19. Tuttavia, finora non sono disponibili evidenze da studi clinici sulla sua efficacia nella prevenzione e / o nel trattamento del COVID-19. Studi osservazionali riportano associazioni indipendenti tra basse concentrazioni sieriche di 25-idrossivitamina D (il principale metabolita circolante della vitamina D) e suscettibilità alle infezioni acute del tratto respiratorio. In una recente revisione sistematica e meta-analisi di studi randomizzati controllati, l’integrazione di vitamina D ha ridotto il rischio di infezione acuta delle vie respiratorie. In uno studio prospettico osservazionale, la carenza di vitamina D è stata riscontrata essere più frequente nelle forme severe di COVID-19 tali da richiedere il ricovero in terapia intensiva(39) Pertanto, alcuni autori hanno suggerito l’uso della vitamina D con l’obiettivo di prevenire o trattare il COVID-19 ma sono necessari ulteriori studi, inclusi studi randomizzati controllati, per valutare l’efficacia della supplementazione di vitamina D sul decorso clinico di COVID-19.