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Crac Evergrande in Cina: da crollo a demolizione controllata?

A general view shows the Evergrande Center building in Shanghai on September 22, 2021. (Photo by Hector RETAMAL / AFP) (Photo by HECTOR RETAMAL/AFP via Getty Images) (Photo: HECTOR RETAMAL via Getty Images)
A general view shows the Evergrande Center building in Shanghai on September 22, 2021. (Photo by Hector RETAMAL / AFP) (Photo by HECTOR RETAMAL/AFP via Getty Images) (Photo: HECTOR RETAMAL via Getty Images)

Per quanto la Cina cerchi di minimizzarlo, il default del colosso immobiliare Evergrande diventa sempre più serio per l’economia del Dragone e, se non controllato in qualche modo dal governo centrale, rischia di trasformarsi in una catastrofe economico-finanziaria per la Cina, con ripercussioni sicuramente non disastrose, ma comunque importanti anche per i mercati internazionali. La strategia che Pechino adotterà non è ancora del tutto chiara, mentre appare certo che Xi Jinping e i suoi abbiamo deciso di non intervenire con un massiccio salvataggio di Stato, bensì attraverso provvedimenti in sequenza sintonizzati di minuto in minuto sull’evoluzione della crisi. Lo scenario più probabile, comunque, è che la Cina farà di tutto per evitare un terremoto, spingendo invece verso una “demolizione controllata” dell’enorme bubbone ormai scoppiato, chiamato Evergrande.

Anche oggi la People’s Bank of China ha pompato altro denaro nel sistema finanziario, nel timore che il contagio impatti seriamente sulla liquidità del mercato, nel tentativo di allontanare il temuto spettro del “credit crunch”, la stretta creditizia, ovvero una restrizione dell’offerta di credito da parte degli intermediari finanziari (in particolare le banche) nei confronti della clientela (soprattutto le imprese). Ormai, solo negli ultimi cinque giorni, la Banca centrale cinese è intervenuta con una iniezione complessiva di liquidità a breve termine nel sistema bancario pari a ben 460 miliardi di yuan netti (71 miliardi di dollari). Un intervento statale già enorme – in scala “cinese”, diciamo – che non sembra però avere rasserenato più di tanto i creditori, gli investitori e il mercato.

Nelle ultime ore le autorità monetarie di Pechino hanno diffuso segnali molto preoccupanti, con l’esortazione a “prepararsi alla possibile tempesta”, in quanto l’input arrivato dal governo centrale alle agenzie governative locali e alle imprese statali è quello di intervenire solo all’ultimo minuto, nell’eventualità in cui Evergrande perda il controllo della situazione. E i numeri del tracollo del gigante dell’immobiliare cinese dipingono uno scenario sempre più inquietante. Il titolo è crollato dell′82% quest’anno, cancellando circa 20 miliardi di dollari di valore di mercato, mentre le obbligazioni offshore vengono scambiate a livelli di quasi default. I detentori di azioni potrebbero venire letteralmente spazzati via dal gigantesco crac, mentre gli obbligazionisti, dal canto loro, si stanno già strappando i capelli. Assembrati da giorni, assediano la sede della società a Shenzen chiedendo di riavere i soldi dei loro investimenti. Ormai hanno capito che il loro futuro è segnato, in quanto lo status di Evergrande come impresa privata preclude qualsiasi intervento statale diretto per adempiere agli obblighi nei confronti degli investitori in azioni e obbligazioni.

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Lo scenario è quello che vede milioni di acquirenti di case infuriati, mentre la mancata consegna delle nuove abitazioni promesse agli investitori potrebbe innescare un evento non solo economicamente, ma anche politicamente destabilizzante per la Cina. Evergrande ha venduto più di 100 miliardi di dollari di proprietà in un anno. Il suo default potrebbe trascinare con sé nel baratro buona parte dell’indotto - ovvero molte delle controparti commerciali che formano la catena di approvvigionamento dell’azienda – e aumentare i crediti inesigibili, mentre un ritardo nella consegna delle abitazioni potrebbe avere anche implicazioni sociali molto rilevanti. Ormai appare chiaro che quel che ci può aspettare nei prossimi giorni è una qualche forma di “agevolazione del governo”, per mantenere l’ordine durante una inevitabile ristrutturazione del debito attraverso una “demolizione controllata” del colosso immobiliare.

Evergrande è la prima grande vittima delle cosiddette “tre linee rosse” di Pechino, pensate per ridurre i livelli di debito insostenibili nel settore immobiliare. E salvare la società immobiliare più indebitata del mondo – con oltre 300 miliardi di dollari di passività – manderebbe un messaggio sbagliato, minando la disciplina che Pechino spera di imporre nel settore proprio attraverso le linee rosse, ovvero: un tetto del 70% delle passività, un limite del 100% del debito netto sul patrimonio netto e un rapporto tra liquidità e indebitamento a breve termine di almeno uno. Evergrande le ha violate tutte.

Ma mentre un salvataggio statale è fuori discussione, come si è detto, la Cina vuole anche evitare un crollo incontrollato. Per preservare la stabilità sociale e la “prosperità comune” – tanto cara a Xi Jinping - bisogna prendersi cura degli interessi di decine di migliaia di investitori, che hanno acquistato i prodotti di gestione patrimoniale ad alto rendimento dell’azienda e gli appartamenti non ancora completati. E poi ci sono legioni di creditori, compresi i detentori stranieri delle sue obbligazioni, il cui rendimento è precipitato a circa 30 centesimi di dollaro Usa. È vero che le autorità cinesi hanno dimostrato di sapere gestire i debiti e le finanze di grandi conglomerati in crisi, come Anbang, HNA, Tomorrow Group, Dalian Wanda e il Gruppo CEFT, ma qui siamo di fronte a una situazione molto diversa, e peggiore. HNA, in particolare, gestiva un vasto portafoglio globale, con la più grande partecipazione in Deutsche Bank a un quarto in Hilton Hotels: dopo quasi quattro anni sotto il controllo statale, è stata sciolta proprio questa settimana, dopo essere stata suddivisa in quattro attività separate a seguito della sua ristrutturazione fallimentare.

E nelle ultime ore si è saputo che due alti dirigenti del gruppo - Il fondatore ed ex presidente di HNA (e di China Hainan Airlines) Chen Feng, e l’ex amministratore delegato Adam Tan Xiangdong sono stati arrestati dalla polizia cinese per “reati sospetti”, e non è bastata a salvarli dalla mano pesante del Partito una dichiarazione dell’ultim’ora dove Chen si è esibito in un pubblico “mea culpa” degno di una vera e propria “seduta di autocoscienza” in perfetto stile maoista, dichiarando testualmente: “dobbiamo rivedere le dure lezioni apprese negli ultimi tempi seguendo le istruzioni del Partito, e capire che è stato il partito e la nazione che hanno dato a HNA la possibilità di nascere e prosperare”.

Stavolta la gestione della caduta di Evergrande non sarà indolore, e tantomeno senza rischi, non solo per le dimensioni, ma soprattutto perché non sarò un caso isolato. La Cina ha otto dei 10 promotori immobiliari più indebitati al mondo e il settore immobiliare del Dragone rappresenta circa il 29 per cento della produzione economica nazionale. È stato proprio in risposta ai livelli di debito insostenibili e al peso economico assolutamente irrazionale ed eccessivamente preponderante dell’immobiliare che Pechino ha deciso di tracciare una linea nella sabbia, anzi tre: le linee rosse, appunto. La nazione si sta allontanando sempre di più dal settore per perseguire altre strade, come la produzione hi-tech e le tecnologie verdi, visti come nuovi, più promettenti e più sostenibili motori di crescita.

Solo oggi è trapelata la notizia che, da diverse settimane, sia il Ministero dell’edilizia abitativa che quello dello sviluppo urbano-rurale hanno incaricato le loro filiali locali di inserire i fondi per i progetti immobiliari in speciali conti di garanzia detti “escrow accounts”, nei quali il denaro viene depositato temporaneamente nel conto di una terza parte neutrale, fino all’adempimento delle clausole contrattuali, di fatto bloccandoli. Un segno evidente che la tutela die piccoli investitori e dei proprietari di case è al primo posto nell’elenco delle priorità del governo nella gestione della crisi Evergrande. E mentre la più grande ristrutturazione aziendale mai avvenuta in Cina si avvicina sempre più, oggi l’agenzia di rating internazionale Fitch ha tagliato le stime di crescita della Cina per il 2021 dall′8,4% all′8,1%....

Una prospettiva che inquieta anche personalmente Xi Jinping, messo di fronte al rischio concreto che il suo più grande timore diventi realtà: la crescita del malcontento popolare in un momento politicamente delicatissimo per lui, ormai in procinto di affrontare il cosiddetto “periodo di transizione” verso il prossimo congresso del Partito Comunista di fine 2022, che dovrebbe affidargli un terzo mandato da segretario generale.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.

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