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Dal Ferro: "L'influencer non è un condottiero, insegue l'opinione vincente. È una tragedia contemporanea"

Riccardo Dal Ferro (Photo: facebook - getty)
Riccardo Dal Ferro (Photo: facebook - getty)

L’influencer va dove tira il vento, è vittima di indagini di mercato approssimative che lo relegano ad essere megafono di chi urla più forte. È quindi a sua volta influenzato da quella mano invisibile chiamata ‘opinione pubblica’: le tendenze, i cosiddetti ‘trend’, le mode. Studia cosa gli conviene esprimere in base a ciò che le ‘analytics’ suggeriscono. Ben lungi dall’influenzare l’altrui opinione, l’influencer finisce per essere il calco del senso comune, dell’opinione vincente, della tendenza più fragorosa”. A dirlo all’HuffPost è Riccardo Dal Ferro, filosofo, scrittore ed esperto di comunicazione e divulgazione.

“L’influencer non è un condottiero, è il seguace di un fantasma - prosegue Dal Ferro - In questo modo è quasi impossibile sapere cosa pensa davvero: saprai sempre e solo cosa desidera pensare in base a ciò che il pubblico si aspetta che dica. E in questa trappola, spesso l’individuo dietro la maschera perde cognizione di quel che pensa davvero. Quella dell’influencer è una tragedia contemporanea”. Il filosofo - che il 29 luglio interverrà alla decima edizione del festival Popsophia a Civitanova Marche - riflette su un tema di sempre più di stretta attualità, anche alla luce del dilagare di notizie non verificate per mano dei cosiddetti “influencer delle fake news”. Un recente report realizzato dal Center for Countering Digital Hate e dall’Anti-Vax Watch afferma che soltanto 12 persone/profili social sono responsabili del 65 per cento della disinformazione sui vaccini in lingua inglese.

Oltreoceano è stata battezzata “disinformation dozen”: si tratta di quel ristrettissimo gruppo di personalità che negli Usa genera quasi due terzi della disinformazione anti-Vax proprio via Facebook e Twitter. L’influencer, dunque, può generare anche un’influenza negativa?
“Non la genera: di nuovo, la segue. La voglia di complotto, di cospirazione, di ‘contro-pensiero’ esiste da ben prima degli influencer: il web ha solo amplificato la portata di certi discorsi che esistono da sempre. Ma certamente, l’influencer può essere il megafono di idee storte, sbagliate e prive di fondamento che nuocciono al dibattito pubblico. D’altra parte, dobbiamo anche renderci conto di un fatto: una buona parte delle nostre idee è nata non per ‘influenza’ ma per ‘avversione’. Ne parla lo scrittore Kurt Vonnegut quando inventa la figura del wrang-wrang: qualcuno che vuole convincerti di qualche cosa ma, suscitando il tuo sospetto o la tua antipatia, ti convince involontariamente dell’esatto opposto. Le persone oggi diventano anti-vacciniste non solo perché hanno incontrato l’influencer no-vax, ma perché il giornalista pro-vax ha espresso concetti in modo superficiale o arrogante; finiamo per convertirci a un sistema di valori perché il suo antagonista ci trasmette poca fiducia. Insomma, siamo molto più wrang-wrang che influencer.”

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Dall’altro lato, da parte degli influencer abbiamo sempre più spesso prese di posizione a favore di temi di interesse collettivo, sociale e politico. Che ne pensa?
“Penso che questo fenomeno esuli dal contenuto dei temi in sé: è bene che persone lottino per i diritti, io stesso mi sono speso pubblicamente per la campagna di Marco Cappato sul Referendum Eutanasia, ma chi potrà dire, guardando un mio video, se ci credo veramente o se mi sono “accodato” per trarne vantaggio? Nell’epoca dei ‘trend’, come si può sapere se l’influencer di turno aderisce al tema perché ci crede oppure perché ne ha ‘studiato’ la convenienza? Nel Coriolano di Shakespeare c’è un personaggio che amo molto, Menenio, il quale dice: ‘Ho un difetto: sono uno che decide per primo a favore di chi parlare’. Ecco, il mondo degli influencer è un mondo in cui nessuno parla per primo perché bisogna sempre aspettare di vedere quale posizione ha la maggioranza del proprio pubblico ed esprimersi di conseguenza.”

Quindi?

“Quindi difficilmente vedrete l’influencer esprimere cose che scontentano o sorprendono buona parte della sua community e quando accade è un atto involontario di cui presto si pente. Se a questo aggiungiamo il fatto che l’influencer è terrorizzato dall’idea di perdere pubblico, appunto scontentandolo, capiamo perché si tratta di un mondo estremamente distorto e che c’è un bisogno di verità, spontaneità e autenticità immenso che difficilmente internet saprà soddisfare.”

Habermas, parlando della “sfera pubblica borghese” nata tra Seicento e Settecento, ha analizzato il ruolo delle conversazioni tra persone private impegnate in un dibattito critico-razionale che potesse diventare stimolo per azioni politiche. All’epoca, luoghi di dibattito erano i giornali, ma anche i caffè e i salons. Potremmo considerare i social network una modernissima manifestazione-evoluzione della “sfera pubblica borghese”?
“Certo, lo è ma ancora solo potenzialmente. Quello che stiamo vivendo sul web non è un dibattito ma è uno scontro tra sordi armati di megafoni. Ogni tema viene preso e usato per aizzare emotività e non per comprendere le altrui ragioni. Al bar, luogo dove di rado mi è capitato di dibattere di temi importanti, l’elemento della presenza fisica è determinante: il volto e l’espressività giocano un ruolo fondamentale nel dialogo, ma anche la postura e il tono della voce, tutti elementi che negli scambi di commenti su Facebook o Twitter si perdono. Ci piaccia o meno, la fisicità è elemento essenziale che ci permette di intrattenere un dialogo: siamo più propensi a metterci nei panni degli altri, disincentivati dallo scontro violento e più malleabili nell’indovinare le altrui intenzioni.”

Su internet invece cosa accade?

“L’opposto: la posizione divergente è stupida, non ha ragioni o fondamento; lo scontro violento è la regola perché le conseguenze peggiori sono di essere bloccati sui social; se tu dici qualcosa con cui sono in disaccordo, io lo interpreterò sempre come malignità e le tue intenzioni saranno ovviamente le peggiori immaginabili. Questo non è dibattito. La domanda vera secondo me è: può il web maturare e diventare un luogo di formazione di opinioni e non di mero rimbalzo mediatico isterico? La risposta io non ce l’ho ma col mio lavoro ho scommesso di sì. Spero di essere un cattivo influencer e un buon wrang-wrang, più simile a Menenio che a una fashion blogger”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.