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La debolezza rendimenti canalizza l’attenzione sugli emergenti

Nadège Dufossé, Head of Asset Allocation, Candriam Investors Group, spiega che la Fed ritiene che i presupposti economici per una stretta sui tassi si stiano rafforzando, e questo potrebbe indurre alcuni investitori a credere che l'incubo della crescita lenta e dei bassi rendimenti stia per finire. Questo ottimismo è probabilmente infondato.

Un aggiornamento non molto positivo del CBO (Congressional Budget Office), che conferma la debolezza della ripresa dei mercati sviluppati, potrebbe convincere gli investitori a riconsiderare i mercati emergenti.

Il CBO ha ridotto di 10pb il potenziale di crescita degli USA rispetto alle proiezioni di gennaio, portandolo all'1.9%, e ha limato di circa 40pb il tasso neutro a lungo termine, portandolo al 3.1% in termini nominali e all'1.1% in termini reali - spiega Nadège Dufossé -. Il tasso neutro a lungo termine è il tasso della Fed che non stimola né limita la crescita economica. In genere, una diminuzione di questo tasso si rispecchia in una diminuzione dei tassi di interesse e dei rendimenti obbligazionari. Dal punto di vista di un investitore, l'impressione è che i tassi non siano semplicemente bassi a lungo termine, ma che siano bassi per sempre. Questo scenario a lungo termine non è sostanzialmente cambiato dopo il discorso di Janet Yellen a Jackson Hole la settimana scorsa, discorso che ha rafforzato le aspettative di un rialzo una tantum della Fed quest'anno.

Data la persistenza del contesto caratterizzato da bassi rendimenti nei Paesi sviluppati, la diversificazione rimane la chiave per ottenere performance. In termini geografici, le nostre maggiori convinzioni riguardano i Paesi emergenti, i cui mercati sia azionari sia a rendimento fisso sono oggi ugualmente attraenti.

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Il nostro atteggiamento sulle emissioni del debito dei Paesi emergenti è positivo, tanto in valute locali quanto in quelle forti, perché presentano un rendimento considerevole rispetto alle obbligazioni sovrane a basso rendimento di numerosi Paesi sviluppati - spiega Nadège Dufossé -. Da quando le principali banche centrali dei Paesi sviluppati - Fed inclusa - hanno adottato una politica accomodante, la pressione sui costi di finanziamento delle economie emergenti è diminuita. Inoltre, i bilanci nazionali, che sono un indicatore importante per investire in queste aree, stanno migliorando. Anche la graduale riduzione delle pressioni deflazionistiche in Cina è incoraggiante.

La nostra più solida convinzione sul piano regionale è costituita dalle azioni dei Paesi emergenti - spiega Nadège Dufossé -. Dopo diversi anni di sottoperformance, parzialmente dovute al collasso dei prezzi delle materie prime a partire dalla metà del 2014, le azioni presentano un forte potenziale di rivalutazione. Le valutazioni rispetto alle azioni dei mercati sviluppati sono ancora attraenti, la crescita economica si sta stabilizzando e le possibilità di apprezzamento del dollaro USA sono limitate. Confidiamo inoltre che un brusco rallentamento globale sia evitabile, considerato che l'intervento accomodante delle banche centrali continuerà ancora a lungo. La tempistica appare infine ideale, in quanto gli investitori stanno iniziando a riscoprire i Paesi emergenti aumentando i flussi di investimento nella regione e portando gli indicatori tecnici a fornire un segnale di ripresa per l’azionario emergente.

Autore: Pierpaolo Molinengo Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online