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Deflazione in Italia, cosa può succedere se i prezzi continuano a scendere

In Italia i prezzi continuano a calare. Ce ne si accorge al supermercato quando, con 30 euro, le borse della spesa pesano molto di più di un anno fa. In Italia è tempo di deflazione, una vera e propria rarità nel nostro Paese, storicamente contraddistinto da un cronico aumento dei prezzi. Epidermicamente, a livello di percezione, la notizia può sembrare positiva: si spende di meno e con la stessa cifra di un anno o due fa si acquistano più prodotti. È, questa, una percezione distorta. Perché la deflazione è un beneficio illusorio, una politica dei prezzi che innesca una spirale che non può che acuire la crisi economica che il nostro Paese sta attraversando da ormai sette anni.

Economia e psicologia (per non dire sociologia) sono intrecciate molto di più di quanto si possa pensare. Teoricamente, avendo risparmiato sul conto della spesa, il consumatore avrebbe più soldi da spendere altrove, ma non è così: l’aspettativa di prezzi al ribasso spinge a un ritardo degli acquisti. I consumatori sanno che il trend dei prezzi è in calo e, quindi, differiscono la spesa. È un fenomeno bene evidenziato dai prezzi delle abitazioni che dal 2010 al 2014 sono scesi del 10,4%. Il calo non è iniziato con la crisi, ma qualche anno dopo: fino al 2010 il mattone veniva percepito come un bene-rifugio, ma con l’acuirsi della crisi e il calo dei prezzi la gente ha cominciato a posticipare le spese più onerose. Si aspetta che i prezzi scendano ancora per comprare e così il mercato immobiliare rimane in stallo.

Se alle casse del supermercato paghiamo di meno, le imprese, per poter essere competitive sul mercato, sono costrette ad abbassare i costi e abbassare i costi significa fare meno investimenti, avere meno occupazione e salari più bassi. E un consumatore con un salario più basso ha un minor potere d’acquisto, quindi i prezzi vanno ulteriormente abbassati. La spirale deflattiva, quindi, erode l’economia “dal basso”, dando ai consumatori l’illusione del risparmio e della convenienza. La questione, ovviamente, riguarda anche i mutui e i prestiti contratti in passato. Se si fa un mutuo di 20mila euro a tre anni, con la deflazione in atto e il calo dei prezzi i 20mila euro diventeranno un conto più salato da pagare rispetto alla stipula dell’accordo.

In termini macro-economici il rischio, per le casse pubbliche, è identico a quello della micro-economia famigliare: la bassa inflazione penalizza l’Italia nel rispetto dei target di bilancio imposti dall’Ue. I due indicatori sono i rapporti deficit/pil e debito/pil, in cui il denominatore è il pil nominale ovvero la sommatoria del prodotto interno lordo reale e del dato sull’inflazione. Se il dato sull’inflazione diminuisce, diminuisce anche il denominatore e, quindi, si allarga la forbice di entrambi i rapporti deficit/ pil e debito/pil. Lo sa bene il ministro delle Finanze Padoan che negli ultimi mesi ha più volte ripetuto come l’aumento dell’inflazione sia, insieme a una maggiore crescita, la soluzione per ridurre il debito.

Una soluzione potrebbe essere un’ingente iniezione di liquidità che dai forzieri della Bce passi alle banche e da queste a imprese e famiglie. Il piano di rifinanziamento dell’Eurosistema – si parla di mille miliardi di euro – sarebbe vincolato alla trasmissione di queste risorse all’economia. Per bloccare definitivamente la spirale deflattiva e far cambiare segno all’andamento dei prezzi.