Ecco come si trasforma la plastica in carburante
Uno dei più grandi problemi ambientali del pianeta è la presenza della plastica. Ogni anno immettiamo nella natura o nelle discariche circa 300 milioni di tonnellate di plastica, materiale che si decompone lentamente rovinando ogni ecosistema che va a toccare. Pensiamo ad esempio alle isole di spazzatura negli oceani, formate dai vortici degli stessi, o agli atolli un tempo incontaminati e oggi vere e proprie discariche involontarie.
Il guaio della plastica è che è poco costosa per chi la produce. Un incentivo suicida che mal si abbina, invece, al costo della trasformazione della stessa in qualcosa d’altro.
Molti stanno studiando come fare e si cominciano a vedere i primi risultati. Infatti un team di chimici dell’Università di Purdue ha trovato un sistema, il cui funzionamento è stato pubblicato sulla rivista scientifica Sustainable Chemistry and Engineering, grazie al quale si può trasformare il polipropilene (plastica usata per giocattoli e imballaggi) in miscela, cioè in uno dei composti dei carburanti che vengono normalmente utilizzati per auto, moto e camion.
Per trasformare il polipropilene in carburante i chimici protagonisti di questo studio hanno riscaldato l’acqua tra i 380°C e i 500°C, a una pressione circa 2300 volte superiore di quella atmosferica a livello del mare. Una volta aggiunto il polipropilene purificato, il composto si è modificato, diventando oleoso dopo poche ore. La temperatura ideale dell’acqua, dopo vari tentativi, è stata individuata: 454°C.
Una bella notizia, sicuramente interessante per molte industrie del settore, pur considerando che per ritrasformare tutta la plastica con polipropilene verrebbe utilizzata una grande quantità d’acqua. A questo proposito si potrebbe, teoricamente, combinare questa tecnica di trasformazione con l’uso di acqua del mare trattata, anziché quella dolce, in modo da non andare a intaccare ulteriormente sulle riserve ‘liquide’ fondamentali per gli esseri viventi.
Sarà in ogni caso un’opera mastodontica liberarsi della plastica, anche considerando un uso massiccio di questo sistema: i rifiuti di polipropilene corrispondono solo a meno di un quarto dei 5 miliardi di tonnellate di plastica che abbiamo prodotto negli ultimi 50 anni.
Un altro scoglio da considerare è la filiera del rifiuto: quando uno scarto di plastica finisce in mare, già rilascia sostanze chimiche inquinanti, le celebri microparticelle trovate a miliardi negli stomaci dei pesci e di chi li mangia. Il processo di trasformazione in carburante dovrebbe assolutamente avvenire prima che qualsiasi pezzo di plastica si avvicini all’acqua o alle riserve naturali del pianeta.
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