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Elezioni Usa: il voto visto dagli investitori

Ci siamo. Manca poco. Tra qualche giorno, l’8 novembre per l’esattezza, il mondo, finalmente, conoscerà il nome del 45esimo presidente degli Stati Uniti. Ricordiamo come funzionano le elezioni Usa: per poter vincere, uno dei due candidati deve ottenere almeno 270 voti elettorali (o grandi elettori). Gli Statunitensi non eleggono direttamente il presidente: a farlo sono i 538 grandi elettori, divisi tra i 50 Stati (più il District of Columbia) in base alla popolazione: il candidato presidenziale che vince in uno Stato ottiene la totalità dei suoi grandi elettori (tranne in Maine e Nebraska), che poi eleggeranno il presidente.

Queste elezioni, sicuramente, avranno un grande impatto per l’economia americana e avranno forti implicazioni per gli investitori.

Kristina Hooper, US Investment Strategist di Allianz Global Investors, spiega che i programmi dei candidati si differenziano fortemente sotto molti profili. In relazione alla spesa pubblica, Hillary Clinton condivide il punto di vista tradizionale del Partito Democratico incentrato su una maggiore spesa in istruzione, energia pulita e sistema sanitario. Significativi anche i programmi in infrastrutture, che prevedono una spesa di 275 miliardi di Dollari, attraverso una National Infrastructure Bank con dotazione di 25 miliardi e 250 miliardi in finanziamenti infrastrutturali. Nel (Londra: 0E4Q.L - notizie) complesso, le stime indicano che il suo programma porterebbe ad un aumento della spesa di 169 miliardi di Dollari all’anno.

Dall’altro lato Donald Trump si allontana dalla tipica posizione conservatrice dei Repubblicani: insieme al generico obiettivo di contenere la spesa, ha annunciato investimenti in infrastrutture doppi rispetto a quanto indicato dalla Clinton e maggiore spesa in difesa. La vittoria di Trump, secondo le stime, porterebbe una riduzione della spesa pubblica pari a 56 miliardi di Dollari.

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Hooper spiega ancora che a livello fiscale, Hillary Clinton prevede un maggior carico sui redditi più elevati, sui maggiori patrimoni immobiliari e la riduzione delle collegate deduzioni. Incentiverebbe l’investimento in titoli nel lungo periodo, incrementando il carico fiscale sui capital gain di breve periodo. Rispetto alle aziende agevolerebbe comportamenti aziendali responsabili e offrirebbe credito fiscale alle società che condividono gli utili con i dipendenti e che investono su forme di apprendistato. Dall’altro lato penalizzerebbe attività ritenute non-produttive, come il trading high-frequency e operazioni di fusione per tax-inversion. Donald Trump ha proposto una politica fiscale tipicamente conservatrice, incentrata su semplificazione e riduzione delle tasse, in particolare con la proposta molto forte di ridurre la tassazione sulle aziende dal 35% al 15%. Questo renderebbe il mercato USA molto competitivo a livello interazionale, ma causerebbe un significativo calo delle entrate fiscali, stimato in 23.9 mila miliardi di Dollari in 10 anni.

Sul fronte commerciale le proposte di Trump sono fortemente protezioniste. Anche Clinton si è avvicinata ad una linea più protezionista, dopo aver prima supportato e poi osteggiato la Trans-Pacific Partnership (TPP), alla luce del consenso che aveva raccolto lo sfidante alle primarie Bernie Sander. Tuttavia, se eletta, Hillary Clinton avrà certamente una linea più moderata rispetto all’avversario, che quotidianamente si scaglia contro la Cina e a favore dello smantellamento del North American Free Trade Agreement.

Hooper sottolinea che tali proposte dovranno poi fare i conti con il Congresso e molti seggi al suo interno, 34 al Senato e 435 alla Camera, sono in gioco. Alla luce delle recenti previsioni, lo scenario più probabile sotto una Presidenza Clinton è quello di un Congresso diviso, fatto che ostacolerebbe molte sue proposte. Se fosse eletto Trump, assumendo un Congresso repubblicano, potrebbero più facilmente essere approvate la riforma della tassazione sulle imprese e le misure per le infrastrutture. Dall’altro lato, anche se ridimensionati, tali piani peserebbero molto sul deficit del paese, fatto che il partito Repubblicano ha sempre osteggiato in passato.

Cosa dunque aspettarci? Hooper ritiene che sebbene i sondaggi vadano in una direzione differente e gli analisti prevedano una forte incertezza in caso di sua vittoria, dobbiamo ricordarci che l’elezione di Trump è ancora possibile. Il referendum sulla Brexit ci ha insegnato che gli intervistati non sempre rivelano le proprie posizioni se pensano che siano impopolari. Senza dubbio molte proposte di Trump sono poco dettagliate e distanti dalle classiche posizioni del partito, soprattutto su commercio e Social Security. In aggiunta, l’incertezza generale alla luce del suo stile non convenzionale e dei cambiamenti di rotta dalla candidatura, potrebbero creare volatilità e penalizzare le quotazioni dei titoli USA per mesi.

Sui listini la vittoria di Hilary Clinton potrebbe determinare un sell-off nei settori farmaceutico, biotech e dei titoli finanziari alla luce della maggiore regolamentazione del settore. Se invece vincesse Donald Trump dovremmo attenderci un sell-off nel breve termine dell’azionario, un forte spostamento verso l’oro ed un rialzo nella quotazione del Dollaro USA.

In generale, gli investitori dovrebbero prepararsi ad una maggiore volatilità focalizzandosi su un’asset allocation tattica e settoriale, per proteggersi da possibili ribassi e diversificando verso asset alternativi per una maggiore riduzione del rischio.

Autore: Volcharts.com Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online