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Elsa Fornero: la "pagella" del Ministro del Lavoro

Ha superato la prova del voto di fiducia il ministro Fornero. IDV e Lega Nord avevano infatti presentato una mozione di sfiducia nei suoi confronti, respinta dalla Camera con 435 voti contrari, 88 sì e 18 astenuti (ma con 61 voti in meno del previsto e addirittura 5 deputati che hanno votato contro il ministro tra le file del PDL). Accusata di aver mentito sui dati relativi agli esodati (quantificati in 65.000 dal suo ministero, mentre sono 390.200 secondo l'INPS), il ministro si difende dichiarando di non aver mai mentito. Non spiega però la discrepanza di valutazione della platea di cittadini che possono andare in pensione con le vecchie regole tra i suoi calcoli e quelli dell'ente previdenziale, com'è ormai abitudine di quasi tutta la classe politica, tecnica o politica che sia.
Ma come ha operato il ministro Fornero in questi primi sette mesi e mezzo di incarico? Proviamo a dare un giudizio generale che prenda in considerazione gli snodi principali del suo lavoro.
L'esordio mediatico è da melodramma: in conferenza stampa per la presentazione della riforma delle pensioni, scoppia a piangere sulla parola "sacrifici" (che non riesce a pronunciare). Lacrime di coccodrillo, potremmo dire, vista la pesantezza sociale della riforma e la questione degli esodati che di lì a poco sarebbe scoppiata. Lacrime che provocano un certo paternalistico imbarazzo nel premier Monti che le sta accanto e la guarda con una sfumatura di comprensione negli occhi. Lacrime che avrebbero dovuto forse umanizzare il freddo e compassato governo dei tecnici, ma che non possono non suscitare una reazione di fastidio e rabbia in chi quei sacrifici deve poi materialmente sostenere.
La riforma delle pensioni è stata sicuramente un provvedimento epocale, che ha sostenitori e detrattori, che sembrava dover scatenare rivolte sociali e incontrare muri incrollabili, mentre invece è passata abbastanza facilmente, con la scusa dell'emergenza della crisi, e se n'è smesso di parlare quasi subito, probabilmente perché argomento spinoso per gli stessi che l'hanno votata, specialmente a sinistra. Discorso a sé va fatto ovviamente per la faccenda degli esodati, che ha però avuto il doppio effetto di mostrare un nervo scoperto ma allo stesso tempo catalizzare l'attenzione di critici e scettici, distraendola da altri aspetti della misura. Forse il fatto è che gli effetti, per la maggior parte delle persone, non sono immediati e si sa che ormai la prospettiva di pensiero e progettualità si è generalmente accorciata a un paio di settimane al massimo, quindi forse bisognerà aspettare un po' prima che la gente si renda conto di cosa comporti realmente. Allo stato attuale resta la considerazione del fatto che l'Italia è il paese europeo in cui si deve lavorare più a lungo, per avere poi una pensione quasi sicuramente molto bassa e non in grado di garantire una continuità nel livello di vita, a fronte di un ente pensionistico, l'INPS, da anni in attivo grazie soprattutto ai contributi degli extracomunitari e dei precari. Un'incentivo statale indiretto ai fondi pensionistici privati e, quindi, alle banche?
C'è poi la riforma del lavoro, di cui si è già parlato diffusamente, che ha scontentato praticamente tutti, da Confindustria ai sindacati, fino ai partiti stessi che l'hanno votata sulla base della promessa di immediate modifiche, da effettuarsi successivamente al vertice europeo del 28 e 29 giugno scorsi. E nel giorno stesso dell'approvazione, il ministro dichiara in un'intervista al Wall Street Journal che il lavoro non è un diritto, ma una cosa che i giovani devono conquistare anche con sacrifici (riuscendo, pare, questa volta a pronunciare la parola senza scoppiare in lacrime, né singhiozzare). Una gaffe che squarcia evidentemente il velo sul pensiero reale che sta dietro alle decisioni del suo dicastero e che la costringe a immediate e vaghe rettifiche, visto che abbiamo ancora una Costituzione e qualche barlume sparso di coscienza sociale. Ma intanto il sasso è stato lanciato e lo slogan comincia a serpeggiare nel marasma mediatico e nelle coscienze dei cittadini, lavorando in background fino alla prossima apparente gaffe o al prossimo provvedimento impopolare da approvare in emergenza.
Ed eccoci quindi al capitolo esodati: il ministro non fa in tempo a sbandierare orgogliosa il provvedimento che permette di abbandonare il lavoro secondo le vecchie regole ai 65.000 cittadini che secondo lei rimarrebbero senza lavoro, né pensione a causa della sua stessa riforma, che subito l'INPS diffonde delle tabelle e una relazione dalle quali emerge che il numero complessivo degli esodati è 390.200, persino di più di quanto non sostenesse la CGIL. Putiferio. L'opposizione parlamentare si scatena, arrivando fino alla mozione di sfiducia, l'opinione pubblica si indigna e il ministro non trova niente di meglio da dire che colpevolizzare l'INPS per aver diffuso dei dati che creano disagio sociale, auspicando addirittura le dimissioni dei vertici dell'ente, con un nervosismo e una violenza verbale che poco si sposano con l'immagine di compostezza che vorrebbe dare di sé questo governo. Una reazione francamente esagerata, scomposta e non all'altezza del ruolo che Elsa Fornero ricopre. Una reazione peraltro non troppo dissimile, nella sostanza, da quella di chi se la prende con i magistrati che lo stanno processando invece di portare elementi a sua discolpa dalle accuse che gli vengono mosse.
Certo è sicuramente uno dei ruoli più scomodi, quello del Ministro del Lavoro oggi in Italia, ma proprio per questo necessiterebbe, da parte di chi lo ricopre, di tutt'altro atteggiamento. Un ministro non può infatti essere cattedratico come un professore, costretto ad ascoltare le voci dei suoi studenti (qui un intero paese), ma solo per poi procedere a testa bassa lunga la sua strada per portare a termine un programma didattico rigido e prestabilito, certo della giustezza conferita alle sue azioni dal ruolo stesso di insegnante. Un ministro, specialmente se alla prova su riforme così importanti e profonde come quella delle pensioni e del lavoro deve realmente dialogare con il paese, imparando anche dal confronto con gli altri, e accogliere laddove possibile le istanze della società civile e delle parti sociali che non sono sempre la difesa di un privilegio corporativo, anzi, molto spesso sono appena la tutela delle condizioni minime per sopravvivere. Le persone non sono semplici numeri e non bastano un paio di lacrime a dimostrare che si è consapevoli di questo.
Insomma, il giudizio finale, per chi scrive, è gravemente insufficiente, tanto nella didattica quanto nella condotta.