Annuncio pubblicitario
Italia markets closed
  • Dow Jones

    38.553,68
    +313,70 (+0,82%)
     
  • Nasdaq

    15.706,30
    +255,00 (+1,65%)
     
  • Nikkei 225

    37.552,16
    +113,55 (+0,30%)
     
  • EUR/USD

    1,0710
    +0,0054 (+0,50%)
     
  • Bitcoin EUR

    62.443,18
    +124,84 (+0,20%)
     
  • CMC Crypto 200

    1.435,53
    +20,77 (+1,47%)
     
  • HANG SENG

    16.828,93
    +317,24 (+1,92%)
     
  • S&P 500

    5.074,62
    +64,02 (+1,28%)
     

Energetici sugli scudi ma l'accordo Opec e ancora troppo debole

Nessuno ci credeva e, in un certo senso, nessuno ci crede ancora definitivamente visto che, dopo il rally iniziale dettato più che altro dalla sorpresa, quello dell’accordo petrolio rischia di essere il più grande bluff dall’inizio della crisi del greggio.

La mattinata a Piazza Affari

La mattinata è partita scoppietante già dalle prime battute a Piazza Affariche ha visto l'indice Ftse Mib, in rialzo dell'1,46% a 16.458 punti, un rialzo che alle 13 viene calmierato in un comunque lusinghiero 1,23%. Lo stesso trend si vede, al giro di boa della mattinata, sul resto d'Europa con il Dax a +0,61%, Londra a +1% e Parigi a +0,9%. A reggere le sorti della mattinata, come presumibile, i titoli energetici. In particolare Eni (Londra: 0N9S.L - notizie) che alle 13 segna un rialzo di +4% aiutato anche dalle notizie di nuovi progetti sulle rinnovabili in Egitto, Saipem (Londra: 0NWY.L - notizie) arriva a sfiorare il +7% (6,96%) e Tenaris (Amsterdam: TS6.AS - notizie) arriva arridittura al 7,7%. Enel (Londra: 0NRE.L - notizie) invece, meno coinvolta, registra +1,37% grazie anche alla vendita di Marcinelle Energie, al francese Direct Energie (Stoccarda: 1485895.SG - notizie) .

I dubbi

ANNUNCIO PUBBLICITARIO

La sensazione che traspare adesso che le acque si stanno calmando è quella che l'accordo raggiunto ad Algeri dai membri dell'Opec sia un’operazione il cui scopo è di andare oltre le semplici dichiarazioni che finora hanno avuto il potere di smuovere, di poco, le torbide acque delle quotazioni senza però compromettere più di tanto la posizione dei singoli paesi.

Non solo ma potrebbe addirittura rivelarsi controproducente. Goldman Sachs (NYSE: GS-PB - notizie) se n’è già accorta dichiarando che un taglio porterebbe sì a un rialzo delle quotazioni nell’immediato ma anche a un ritorno dell’aumento delle perforazioni in molti paesi che non sono obbligati al rispetto delle quote e i nomi, in questo caso, sono di tutto rispetto: Russia (tra l'altro primo produttore energetico al mondo), Stati Uniti, Cina, Messico, Canada, Norvegia e Brasile. Il che porterebbe a un nuovo squilibrio visto che dalla parte della domanda, quindi anche della crescita globale, le cose non cambiano. Per questo motivo la banca d’affari americana non ha cambiato il suo outlook sul prezzo del barile sia per il 2016 dove è rimasto a 43 dollari, sia per il 2017 con i 53 già fissati. Un certo scetticismo si avverte anche dalle parti di Wells Fargo (Hannover: NWT.HA - notizie) che non si lascia entusiasmare troppo e guarda a un lasso di tempo che, da qui a 12 mesi, potrebbe far arrivare il greggio tra i 43 e i 53 dollari con una probabilità più alta che i prezzi si assestino verso la parte alta del range, fascia che, poi, attirerebbe, come detto, l’attenzione anche di altri produttori, prima di tutto quelli statunitensi i quali trovano nel target dei 50 dollari il primo gradino che permette di avere un guadagno sulla produzione.

Non solo Goldman

Lo stesso ha deciso di fare Societe Generale (Swiss: 519928.SW - notizie) che mantiene le stime per il Brent sul quarto trimestre 2016 a 50 dollari (60 nel quarto trimestre 2017); secondo l’opinione di Michael Wittner, il dato più importante è quello del ritorno dell’Opec a una gestione attiva del mercato dopo due anni di mancata volontà di agire. Ma anche in questo caso le opinioni divergono visto che per molti, per quanto non certo inutile, il ruolo dell’Opec come organizzazione in gradi di dirigere (e in passato anche ricattare) i destini del mondo decidendo le sorti di intere nazioni, è limitato. O per lo meno lo è solo all’interno della sua cerchia come è accaduto per il Venezuela, prima, grande vittima illustre della crisi dei petroliferi.

I numeri

Ma i dubbi restano anche per l’accordo stesso: finora i grandi produttori Opec come Arabia Saudita e Iran hanno registrato livelli record di produzione (la prima con oltre 10,7 milioni di barili e la seconda con 3,6 milioni che potrebbero presto diventare 4 visto che gli accordi saranno attivi da novembre),un taglio come quello proposto nell’accordo non farebbe altro che far tornare indietro le lancette ai livelli di inizio anno il quali resterebbero comunque troppo alti rispetto alla domanda e alle prospettive di crescita globale. Alla base di tutto, infatti, restano ancora le previsioni negative sulla crescita mondiale per tutto il 2017: l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) a metà settembre ha rivisto le stime di crescita della domanda mondiale di greggio tagliandole sia per quest’anno che per il prossimo con -100mila barili sul 2016 e -200.000 barili al giorno per il 2017 portando i consumi per il prossimo anno a quota 97,3 milioni. La causa del cambio di rotta è stata causata dal blocco delle economie mature, impantanate in una stasi dalla quale non riescono ad uscire nonostante le varie misure di stimolo monetario. A controbilanciare, in teoria, potrebbero essere i paesi emergenti ma i colossi India e Cina devono registrare un pericoloso rallentamento proprio in quest’ultimo trimestre.

Questo perchè, a prescindere dalla volontà Opec di rallentare, bisogna vedere il rapporto che si creerà con la domanda. E su quella l’Opec non può fare nulla.

Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online