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Entrare o uscire dall'euro? Ecco il via vai dei Paesi della UE

Eurostat: Inflazione eurozona rallenta all'1,2% ad aprile

Fuori dall'euro. Con il suo recente voto, l'Islanda ha deciso le sue sorti. La vittoria del centrodestra, dopo 4 anni di governo di centrosinistra, si è basata soprattutto sulla proposta di abbandonare le misure di austerità e la moneta unica, dopo anni di rigore necessari per sanare i conti in rosso dell'isola.
E oggi la nuova coalizione ha deciso di sospendere a tempo indeterminato i negoziati di adesione con l'Unione Europea per i prossimi 4 anni, provando ad uscire dalle difficoltà economiche del Paese attraverso misure differenti.

La decisione, annunciata dal nuovo primo ministro islandese, Sigmundur David Gunnlaugsson, sarà mantenuta fino a quando non sarà messa a referendum la scelta di portare avanti i negoziati con la UE: "Non è stato fissato alcun termine per il referendum - ha dichiarato un portavoce del premier - se non che si svolgerà entro i prossimi quattro anni".
Nel frattempo, sono stati presentati nuovi accordi incentrati sulle modalità da affrontare per alleviare il debito delle famiglie e per sostenere la crescita economica di un Paese che è stato dal 2008 una delle più grandi vittime della crisi finanziaria globale. Accordi fatti dagli stessi partiti che nel 2008 portarono l'Islanda nelle condizioni di crisi.
Europa in stand by, dunque. Lo ha ribadito anche Bjarni Benediktsson, il nuovo ministro delle finanze, evidenziando il forte sentimento nazionalista emerso negli ultimi anni. Probabile dunque il ritorno alla Corona, la moneta locale, scelta in netta contrapposizione con i socialdemocratici, precedentemente al governo, che vedevano nell'adesione con la UE un modo per controllare i capitali del Paese. Un punto di forza invece per il centrodestra, che ha vede nell'abolizione dei controlli - che limitano i flussi della Corona dentro e fuori dal Paese - la principale priorità del governo.

Mentre l'Islanda decide per sè, c'è uno Stato rimasto con un piede dentro e uno fuori. Si tratta della Grecia: con tassi di disoccupazione spaventosi - nella regione di Dytiki Makedonia la disoccupazione giovanile è arrivata al 75% - e problemi economici e sociali sempre più difficili da gestire, Atene sembra avere non poche difficoltà a restare all'interno dei 27 Paesi dell'Eurozona. Se l'estate scorsa il capo economista di Citi, Willem Buiter era convinto che la Grecia aveva il 90% delle probabilità di uscire dall'euro entro il primo gennaio 2013, oggi - dopo l'intoduzione del programma di acquisto di titoli governativi, denominato OMT, per salvare la moneta unica dalla speculazione - Buiter fa scendere le probabilità al 60%, restando tuttavia convinto che lo scenario si verificherà nel 2014, dopo le elezioni tedesche.

C'è chi esce e c'è chi non vuole più entrare, come la Polonia. Almeno fino al 2015. Lo scorso marzo, il Presidente polacco Bronisław Komorowski, davanti alla scelta di aderire o meno è rimasto scettico, per poi decidere di rimanere fuori per altri 2 anni, il tempo necessario per  "valutare costi e benefici” ha detto Komorowski. Una decisione spinta soprattutto dai timori di fare la fine della Slovenia - con la quale ha molte somiglianze - entrata nell'euro nel 2004 e oggi a rischio default. Stessa decisione presa dalla Bulgaria, la cui entrata era prevista il 1 gennaio 2014 ed oggi in attesa della fine della crisi per aderire.

Qualcuno però, in questo via vai frenetico, è ancora in fila per entrare e aderire alla moneta unica. L'ultima ad entrare è stata l'Estonia, nel 2011: con un'economia al decollo e un debito pubblico ai minimi storici (6,6% del Pil), le stime europee considerano questo piccolo Paese uno dei "gioiellini" dell'UE, secondo solo alla Finlandia per bilanci virtuosi. In attesa di appartenere all'Eurozona ci sono poi Lituania e Lettonia, quest'ultima pronta ad aderire all'euro dal 1 gennaio 2014, l'altra invece attenderà il 2015. Chi invece preme da tempo per ottenere la moneta di Bruxelles è la Romania, ma gli altri Stati membri sono abbastanza scettici. Prima della crisi, l'obiettivo della Romania era di aderire all'Eurozona entro il 2015, ma la recessione economica del Paese assieme all'instabilità politica ha frenato Bruxelles, che ha chiesto a Bucarest di ripristinare la competitività perduta. Se riuscirà, l'obiettivo è fissato per il 2017.