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Europa Vs Wall Street: chi vince e chi perde

Wall Street ha accelerato nella seconda parte di seduta, per chiudere sui massimi dall’8 settembre scorso, trainata da un rimbalzo di quei settori, come le Telecoms e le utilities e il Tech, che peggio avevano fatto post Trump. La cosa non ha impedito al Dow Jones di inanellare la settima seduta di guadagno a fila, una serie di tutto rispetto, che ne segue una negativa di durata analoga. Chiuderemo a 7 anche questa?

Nonostante il buon sentiment ereditato dagli USA, la parte emergente dell’Asia stenta a mettere a segno un rimbalzo degno di questo nome. Questo perchè, non senza buoni motivi, il consenso degli analisti la indica come l’area più colpita dagli sviluppi politici americani, sia attraverso l’inasprimento della politica monetaria US, con corollario di Dollaro forte, che dagli aspetti protezionistici e anti trade, che ne minacciano la funzione di World Factory.

Solo Tokyo continua a spassarsela, confidando nello yen debole. Con il tasso del decennale giapponese giunto a 0.01% dovrebbe entrare in vigore la difesa della soglia, con conseguente aumento degli acquisti di bonds da parte della BOJ. Impossibile che la Banca Centrale abbandoni una politica annunciata appena 2 mesi fa. Visto il recente trend su tassi, il mercato sembra scontare una robusta accelerazione del QE, e di conseguenza lo Yen scambia ai minimi da giugno scorso contro $.

Naturalmente, lo yield targeting non funziona univocamente. Se i bonds globali mettono a segno un rimbalzo convincente, e i JGBs gli vanno dietro, il marchingegno costringerà a scontare un rallentamento neella creazione di base monetaria, e lo yen risalirà. Si quindi tratta di un acceleratore di tendenza, che rende gli asset giapponesi più appetibili nel caso probabile di una continuazione del trend di rialzo dei tassi.

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Fin dalle prime battute della seduta europea si è intuito che nemmeno l’azionario continentale avrebbe fatto tesoro della buona performance di Wall Street ieri.

Difficile indicare un motivo specifico, ma è un fatto che gli indici sono passati negativi poco dopo l’apertura, per accumulare un crescente passivo durante la mattinata. Non si può certo accusare l’€, che ha continuato a indebolirsi per chiudere la seduta europea sotto 1.07 vs $.

La presa di beneficio ha interessato in particolare il settore bancario europeo (Eurostoxx banks -1.75%) che non aveva brillato nemmeno ieri, a fronte di un sentiment più costruttivo. Mentre gli istituti americani possono contare, oltre che su crescita e tassi insalita, su un assai probabile addolcimento della regulation (visto che Trump vuole eliminare la Dodd -Frank), le banche europee continuano a subire la pressione dei regulators EU (vedi oggi la Nouy sul risk weighting dei bonds governativi sui bilanci bancari – Nouy Says Regulatory Treatment of Sovereign Debt Needs Rethink).

Una distinzione che può essere fatta anche a livello generale: gli aspetti positivi della recente narrativa su Trump riguardano soprattutto Corporate America, mentre l’Europa deve fare i conti anche con gli aspetti di deglobalization (rilevanti vista la dimensione del surplus commerciale europeo), e con l’ importazione di instabilità politica. Illuminante, sotto quest’ ultimo aspetto, l’allargamento degli spread, non solo dei paesi periferici, ma anche di un emittente come la Francia (passato da +30 a +45 vs bund) in procinto di affrontare le presidenziali con una Le Pen (Other OTC: PENC - notizie) in ascesa. A tutto ciò il vecchio continente può opporre un ECB che resta accomodante, il che forse spiega l’assoluta riluttanza dell’€ a rimbalzare.

L’opaco sentiment europeo ha bagnato le polveri anche a Wall Street, che però al momento restituisce solo una frazione di quanto guadagnato ieri.

Un rimbalzo finale, favorito da un ulteriore nuovo minimo segnato dalla divisa unica, non ha impedito all’azionario europeo di cancellare i recuperi delle ultime 2 sedute. La risk adversion ha restituito un po’ di supporto ai bonds core e al treasury, ma quelli periferici sono rimasti pesanti, col BTP che torna sopra 170 bps.

Inaffondabile il biglietto verde, che continua a giovarsi della forza del ciclo US (presente e attesa) e del ri-accentuarsi della divergenza delle politiche monetarie, ora che la FED deve correre dietro alle svolte economiche di Trump.

Su quest’ultimo punto, sarà interessante sentire la Yellen domani nella sua testimonianza di fronte al Joint Economic Committee.

Cosa farà? Prenderà atto del mutato scenario politico-economico e sancirà il rialzo di dicembre che ormai il mercato sconta al 94%, oppure porrà l’accento sull’inasprimento delle condizioni finanziarie seguito alla volatilità su tassi, e troverà altre scuse per rinviare la decisione? Nel (Londra: 0E4Q.L - notizie) primo caso con ogni probabilità avremo un tentativo di breakout del dollar index (e forse un altro po’ di isterie sugli emerging), nel secondo forse otterremo una fase correttiva del biglietto verde, e un rimbalzo un po’ più corposo dei bonds. Il raziocinio vorrebbe che la Yellen finalmente rompesse gli indugi, e si adeguasse al cambio di guardia alla Casa Bianca (i Repubblicani sono per tradizione più restrittivi). Ma con la super colomba non si può mai dire.

Vedremo.

Autore: Giuseppe Sersale Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online