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In fila a Roma Termini per il green pass: "Ho bisogno di lavorare"

(Photo: Hp Silvia Renda)
(Photo: Hp Silvia Renda)

“Anche per te è la prima dose?”. Una signora africana volta appena il capo e risponde “sì”, senza fermarsi. A passo svelto si avvicina all’entrata dell’hub vaccinale allestito a Roma Termini, stretta in un bomberino verde smeraldo. Non si cura del caldo di un’estate che si fa sentire ancora, nonostante sia settembre inoltrato, nonostante il cielo coperto dalle nuvole di una pioggia da poco andata. Chi le ha posto la domanda sta attendendo il suo turno poggiata su una pietra. Sulla sedia di fortuna si sventola con delle carte, che continuerà poi ad agitare davanti all’operatrice della Croce Rossa: “Ecco, vedi: io ho gli anticorpi alti. Ora, perché devo fare questo vaccino? Ma senza non mi fanno lavorare”.

Gli sfoghi raccolti dagli operatori sono continui nel centro vaccinale di piazza dei Cinquecento, posto all’uscita della principale stazione ferroviaria della Capitale. Punto di snodo, noto e riconoscibile, attira le attenzioni di chi deve ricevere la sua somministrazione anti covid. Vengono da ogni luogo, non solo Roma, non solo il Lazio. Gran parte di loro - “saranno il 60/70%” racconta una volontaria - sono stranieri. C’è chi lamenta di aver già ricevuto il vaccino nel proprio paese di origine, ma qui non viene riconosciuto e adesso non sa come fare. Ci sono i tanti che in questi giorni stanno arrivando per ricevere la prima dose, reticenti prima ma convinti poi dal Green Pass obbligatorio per poter lavorare.

Alle 11 del mattino la fila ormai qui scorre rapida, ma lo stesso non si può dire di quanto accade a pochi metri di distanza, dove un altro capannone offre la possibilità di ricevere un tampone gratuito. Una coda di persone attorcigliata su se stessa aumenta di un passo ogni secondo. “Dovevate venire alle 8. Me l’ha detto mia cugina che a quell’ora c’è meno gente”, ci suggerisce una signora rumena, badante in Italia. Nell’errore è caduta anche lei: venuta meno al consiglio della parente si trova costretta ad attendere insieme ai tanti altri. Molti si sorreggono alla valigia, turisti appena approdati sul suolo romano, aspettando che qualcuno certifichi la loro negatività al virus. Altri non hanno valigie, né borse: una schiera di braccia conserte, nella paziente attesa di una pratica ripetuta più e più volte.

“Io il vaccino ce l’ho, ma mi chiedono il risultato del tampone” racconta Maria, da 17 anni in Italia ma di origine russa. Alza al cielo i piccoli occhi azzurri affossati tra le guance bianche che sporgono dalla mascherina. Poi li strizza sorridenti e rassegnati, quasi a cercare ironia nella trafila alla quale deve sottoporsi quasi quotidianamente per guadagnare dei soldi. “Pulisco le case”, spiega, e per farlo ha bisogno del certificato verde. Un ragazzo sta almeno a venti persone di vantaggio dal traguardo rispetto a lei, ma racconta lo stesso destino: lavora in un bar, ha il vaccino, ma serve il tampone. E quindi braccia incrociate e comincia l’attesa.

“In tantissimi sono stati convinti dal Green Pass obbligatorio per lavorare”, racconta ad Huffpost la Comunità di Sant’Egidio, che da tempo si sta occupando di aiutare gli stranieri a ottenere l’iniezione contro il coronavirus. D’accordo con il generale Figliuolo hanno aperto un hub vaccinale: è gestito da volontari quindi rimane aperto due giorni a settimane. Per altri due – così da garantire un servizio maggiore – stanno accompagnando a Termini chi deve ricevere la seconda dose. Dal 15 ottobre il Green Pass sarà obbligatorio per andare a lavoro, sia nel pubblico che nel privato. L’Italia sarà il primo paese europeo a prevedere l’obbligo di certificazione verde nella maggioranza dei luoghi di lavoro, secondo quanto deciso durante la cabina di regia, riunita in mattinata a Palazzo Chigi, tra il premier Draghi e i rappresentanti delle forze politiche di maggioranza. Anche i collaboratori domestici, come colf e badanti, dovranno avere il certificato per continuare a lavorare. In Italia sono spesso stranieri a esercitare questi mestieri, tanti hanno quindi deciso di mettersi in fila a Termini. “Me li ricordo quelli che mi dicevano di non volere il vaccino e non l’avrebbero mai fatto” racconta una volontaria di Sant’Egidio. Poi è arrivato il Green Pass obbligatorio per lavorare: “La mattina erano lì in fila. Avevano cambiato idea”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.