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Finalmente un po’ di sirtaki

La Grecia è tornata sui mercati obbligazionari. Il primo bond collocato dal 2014, un titolo a 5 anni, ha riscontrato una forte domanda e visto il rendimento stabilizzarsi sul 4.60%, rispetto al 4.85% stimato inizialmente. Insomma, dopo anni di crisi devastante, ad Atene si sente di nuovo risuonare il sirtaki.

Ma non solo: tra i mercati periferici europei la Grecia brilla nelle performance con un mercato azionario che fa segnare all’indice MSCI Greece un poderoso 35,5% in dollari Usa, facendo della borsa greca la migliore dopo la Polonia e la Turchia. Contemporaneamente il decennale greco ha visto il suo rendimento ridursi di oltre un punto e mezzo portandosi ai minimi pre-crisi del 2008 al 5,17%, e il biennale posizionarsi ai minimi del 2010.

Così il secondo round del terzo piano di salvataggio finanziario per il Paese è stato superato brillantemente in giugno nonostante la Commissione Europea abbia ridotto il suo impegno che inizialmente era di 86 miliardi poi scesi a 56 sotto la pressione del Fondo Monetario Internazionale che, allora come adesso, continua a mostrare tutto il suo scetticismo chiedendo maggiori garanzie e fermezza da parte dell’Eurogruppo.

La nuova emissione di un titolo a 5 anni segna il ritorno del Paese sui mercati internazionali dopo tre anni di sospensione e di linee di credito emergenziali attivate dalla BCE (Toronto: BCE-PRA.TO - notizie) per affrontare anche una crisi politica cruciale per il piano di riforme concordato con l’UE. Il bond ha avuto il sostegno di un sindacato per la fase di collocazione e preparazione del deal di ben 6 banche e il supporto sul merito creditizio di S&P migliorato nell’outlook a “positivo “da stabile”, seguito da un report molto positivo di Moody’s che ha sottolineato come il miglioramento sul lato delle esportazioni e della disoccupazione siano un segnale importante di un graduale recupero in termini di PIL.

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Immediatamente si è avuta una reazione da parte del mercato e il rendimento del titolo a 2 anni si è stretto ulteriormente al 3%.

Si è giunti a questo importante risultato perché questo terzo piano di aiuti è stato costruito su una base sistematica di quattro pilastri del piano di bail out: la sostenibilità fiscale, la stabilità finanziaria, la competitività e la riforma della Pubblica Amministrazione.

Il Governo si è quindi impegnato in una draconiana riforma su pensioni, IVA e tassazione sul reddito per poter capitalizzare un risparmio fiscale del 4,5% del PIL entro il 2018, che ha già prodotti effetti benefici sul surplus di primario che si è portato al 4,2% del PIL nel 2016 rispetto ad un target programmato dell’0,5%, così ampiamente superato.

Dal punto di vista della stabilità finanziaria, dopo una prima ricapitalizzazione delle banche per circa 5,4 mld di eur (rispetto ai 25 mld inizialmente valutati erroneamente), il premier Tsipras ha affrontato lo scottante capitolo dei NPL che nel 2016 raggiungevano il 45% degli impieghi totali delle banche elleniche. Mentre sulla competitività finalmente la Grecia si è adeguata quasi completamente ai protocolli OCSE sul piano delle liberalizzazioni e delle raccomandazioni da adottare per la riforma del sistema produttivo e dei trasporti.

Per la fine del mese di luglio la Lagarde proporrà nuovamente al Consiglio Esecutivo del Fondo Monetario Internazionale un Piano SBA Stand By Agreement ovvero un piano precauzionale ove l’FMI possa agire ma tenendosi una clausola di salvaguardia in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi in termini di riduzione del debito, chiesti a gran voce sin dall’inizio di questa ennesima saga.

Su questa base gli esborsi avverranno solo su base puntuale al ricevimento di una conferma sugli obiettivi e sull’effettiva sostenibilità delle dinamiche gestionali del debito pubblico ellenico. Le proiezioni dell’UE vedono un contenimento dal 179% del 2016 al 91,7% nel 2060, come si vede una prospettiva di lunghissimo termine che fa già capire l’atteggiamento molto diverso con il quale l’UE cerca di tenersi stretta la Grecia e il FMI resta intransigente anche contando il pregresso.

Ma in un momento nel quale i Paesi del Patto di Visegrad si mettono per traverso sulle politiche migratorie continuando ad approfittare dei fondi strutturali europei ma stando ben lontani dall’Eurozona e – allo stesso tempo - i Paesi dell’area balcanica premono per entrare nell’UE allettati proprio da quegli stessi fondi strutturali, è ovvio che gli organismi comunitari facciano quadrato per consolidare lo status quo, di fronte oltretutto all’impasse della Brexit.

Claudia Segre

Global Thinking Foundation

Autore: ItForum Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online