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Finito l'effetto Macron. Ora si guarda agli Usa

Dopo il primo turno delle presidenziali francesi appare quasi scontato lo scampato pericolo (almeno in teoria) di una vittoria di Marine Le Pen (Other OTC: PENC - notizie) all'Eliseo.

La situazione sui mercati

Per questo motivo, ieri, i mercati hanno dato vita a uno spumeggiante rally che ha portato Piazza Affari a chiudere con uno straordinario saldo di +4,77%. La situazione di oggi, invece, vede Piazza Affari, poco dopo le 13, con un attivo dello 0,2% a 20.726 punti, il Dax a -0,01%, il Cac 40 a +0,4% e il Ftse 100 a +0,3%

L'entusiasmo ha coinvolto anche Wall Street che, sempre ieri, ha visto il Nasdaq (Francoforte: 813516 - notizie) guadagnare l'1,24% fermandosi a 5.983,82 punti l'S&P 500 con un vantaggio dell'1,08% a 2.374,15 punti e il Dow Jones fotografato a 20.763,89 punti con un rialzo dell'1,05%.

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Il fronte statunitense

Ed è proprio sul fronte statunitense che si concentrano le attenzioni degli operatori, non solo per il clima di tensione internazionale che si sta creando sul fronte coreano, ma anche per la questione della riforma fiscale la cui presentazione è prevista entro mercoledì. Almeno stando a quanto annunciato dallo stesso presidente Usa Donald Trump e riferito dal Wall Street Journal. Le indiscrezioni parlano di un taglio dell'aliquota aziendale che dall'attuale 35% dovrebbe scendere al 15%. Le preoccupazioni, però, arrivano sul fronte delle entrate: stando alle misure annunciate, infatti, è prevedibile un calo di due miliardi di dollari nelle casse dello stato entro il 2027, troppi perché il progetto possa passare incolume dalle Forche Caudine di un Congresso a maggioranza repubblicano (quindi storicamente nemico dei passivi sul fronte dei conti pubblici) che forse troverebbe più accettabile un livello del 20%. Una situazione incerta che viene resa ancora più complessa dalle trattative in arrivo anche per la questione dello shutdown, cioè la scadenza dei finanziamenti al governo federale, il cui importo dovrà essere approvato dal Congresso. La questione, a sua volta, è parallela a quella del contestato Muro con il Messico dal momento che la richiesta dei capitali per la sua costruzione è inserita nel pacchetto che il Presidente ha presentato per l'approvazione.

La questione politica

Partendo da questo punto ci sono da sottolineare due punti; il primo è che nessuno dei rappresentanti al Congresso, eletti in uno dei 4 stati al confine con il Messico (Texas, New Mexico, Arizona e California ), hanno appoggiato la richiesta da 1,4 miliardi fatta da Trump per la costruzione del muro; il rischio sarebbe quello di dover finanziare i lavori, chiedendo poi il rimborso al Messico, il quale ha invece già fatto sapere di non avere la minima intenzione di pagare. Il secondo è di natura prettamente strategica: i repubblicani non vogliono che il disegno di legge per i finanziamenti al muro vengano inseriti nelle richieste per il budget federale per un motivo preciso: i democratici si opporrebbero certamente e tutto il progetto verrebbe bloccato al Senato (dove la maggioranza repubblicana è limitata) a causa di una singola questione. Diverso, invece, il discorso per quanto riguarda la border tax, cioè una serie di tasse sulle merci importate, che trova poca simpatia anche da parte degli alleati che l'avrebbero già accusata di protezionismo.

La sfida diventa difficile da affrontare perché nessuna delle parti vuole cedere, in particolare l'amministrazione Trump che in 100 giorni non riuscita a far approvare in via definitiva nessuna delle sue proposte più importanti nonostante l'attivismo del presidente e le contestate firme ai provvedimenti esecutivi che hanno caratterizzato le prime ore di insediamento alla Casa Bianca. A conti fatti, la riforma sanitaria presentata è stata bocciata, il Muslim Act è stato bloccato e il muro con il Messico rischia di essere la pietra tombale della credibilità della nuova amministrazione.

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