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Flessione Bitcoin: cosa c’è dietro

Bitcoin ed Ethereum, Previsioni – Rimbalzo del Bitcoin

Non si tratta e non si è trattato di bolla.

Ma è evidente che la situazione contingente relativa alla deriva della criptomoneta più famosa al mondo desti più di qualche perplessità.

Se si pensa che solo a fine dicembre il BTC toccava un massimo di 20.000 dollari, si rimane scioccati a osservare come oggi tale valore sia sceso a meno della metà.

Sono in molti a salire sul carro dei guru previsionali, con tanti io l’avevo detto che col senno di poi arricchiscono solo il novero di parole portate via dal vento.

È bene riflettere su quanto successo nell’ultimo periodo, analizzando cosa veramente sia stato volano di una crisi valoriale così estesa in seno al BTC e al comparto tecnofinanza in generale, per approcciarsi meglio alla realtà criptovalutaria e valutarne l’eventuale investimento.

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Come più volte ripetuto, non può sottovalutarsi la stretta sulla regolamentazione in ambito criptovaloriale.

È fenomeno diffuso quello che vede diversi Legislatori mondiali occuparsi di regolamentare la diffusione e l’uso delle criptomonete, sebbene una normativa completa ed esauriente manchi pressoché ovunque, eccetto quei Paesi i cui governi abbiano optato per scelte cogenti come Russia e Cina.

Per tutto il resto del globo, si rimanda alla trattazione già presente qui (Africa, Asia e Oceania) qui (Americhe) e qui (Europa).

Osservando la disamina asiatica ci si rende conto di come un paese hi-tech come la Corea del Sud abbia posto il proprio diniego verso le criptovalute, specialmente il BTC.

Come già sostenuto in tempi non sospetti qui, la Corea del Sud è attualmente il terzo mercato la mondo per transazioni in valute digitali, vantando un connubio tecnologia-transazioni fondamentale per il mercato cripto.

La chiusura del ministro dell’economia coreano Kim Dong-yeon agli investimenti in criptomonete non solo si inserisce in un contesto di austerity criptovalutaria già di per sé rovente, ma catalizza ancor di più l’attenzione di investitori e traders verso una tendenza di disimpegno di valuta digitale che non conosce limiti.

L’universo di leader del settore tech presente in Sud Corea è stato da sempre terreno fecondo alla diffusione di criptomonete di ogni tipo, perché complementari allo sviluppo della blockchain e dell’evoluzione di app e tecnologie d’avanguardia che ne costituiscono la longa manus.

Non può sorprendere se il niet coreano abbia pesato a dismisura sul valore di Bitcoin e affini. Ancor di più se si considera il Kimchi Premium, effetto per il quale il valore della valuta digitale di Satoshi Nakamoto ha conosciuto un progresso maggiore che in tutti gli altri paesi, registrando il picco di 24.850 dollari a dicembre quando il record mondiale si attestava sui 20,000 dollari.

Quanto detto sopra spiega perché la Corea del Sud vantasse un’importanza così strategica in seno alla community BTC, tanto da accrescere ancor di più il crollo iniziato il primo mese del 2018.

Dalla vicenda coreana alla più banale e ripetuta delle caratteristiche del Bitcoin: la sua estrema sensibilità al mercato e a ogni notizia che lo riguardi.

Se per la Corea del Sud hanno pesato le parole del Ministro del Tesoro, per il primo mercato al mondo BTC, gli Stati Uniti d’America, non sono passate inosservate le posizioni della SEC (Securities and Exchange Commission).

Il 31 gennaio la SEC ha inibito un’ICO (Initial Coin Offer) della AriseBank.

Tale misura investe il mondo cripto in maniera profonda perché è il primo atto concreto dell’Authority a stelle e strisce verso il comparto FinTech..

Affrancandosi quindi da moniti e consigli, la SEC pone il proprio divieto su un’ICO che si prefiggeva di raccogliere dal pubblico ben 600 milioni di dollari per lanciare la nuova moneta AriseCoin, dal valore di 1 miliardo.

La motivazione è presto detta: tale progetto rappresenterebbe un artifizio per decentralizzare una valuta scambiabile in prodotti e servizi dalla natura tradizionale, quindi non ravvisandosi la necessarietà di una diversificazione valutaria che oltrepasserebbe la funzione nazionale del dollaro, valuta FIAT.

Senza entrare nel merito della vicenda USA, si intuisce come quanto disposto dalla SEC costituisca un altro elemento di rottura a livello di credibilità criptovalutaria, catalizzando e confermando ancor di più una flessione che, come più volte ribadito, deve la propria genesi anche a un’estrema sensibilità verso ogni accadimento inerente il mercato.

Rimanendo negli States, giova riflettere su quanto accaduto a Chicago.

Se qui in maniera sbrigativa accennavamo a un ipotetico legame tra i futures XBT e il crollo BTC, ora sembra opportuno approfondire la vicenda.

Prendendo le mosse dalla precedente trattazione a cui si rimanda, è bene distinguere i due mercati su cui sono stati lanciati gli XBT, vale a dire il CBOE (Chicago Board Options Exchange) e il CME (Chicago Mercantile Exchange).

Il 17 gennaio 2018, che vedeva il Bitcoin abdicare lo scettro valoriale del progresso per impugnare quello del crollo, coincideva anche con la scadenza del primo future BTC sul mercato CBOE, con quotazione 10.900, mentre sugli altri mercati internazionali il valore registrava quota 9.400 dollari.

C’è dell’altro.

Da quando è iniziato il periodo di flessione, lunedì 8 gennaio 2018, il calo BTC era dovuto maggiormente ai mercati asiatici nella notte, mentre durante il giorno il prezzo rimaneva stabile o segnava un lieve aumento, grazie al mercato USA.

Il crollo del 17 gennaio si è verificato nel pomeriggio, dopo l’apertura del mercato americano. Tale contingenza potrebbe indurre a pensare a rapporti causa-effetto relativi all’informazione sulla scadenza del primo future.

Coincidenze, forse meta discorsi, ma difficilmente nel trading qualcosa accade per caso, specie se vi è di mezzo la speculazione.

Alla scadenza del secondo future, quello lanciato sul Chicago Mercantile Exchange, le cose sono andate in maniera diversa.

Il 26 gennaio alle 17 ora italiana, non si è verificato un crollo come avvenuto dieci giorni prima in concomitanza con gli XBT del CBOE.

Tale contingenza rafforza di più la teoria sulle balene come market influencer e, di conseguenza, su loro responsabilità circa la flessione BTC.

Come riportato qui, grandi investitori potrebbero aver davvero deciso le sorti della moneta nakamotiana.

Analizzando i due future si può fornire un’analisi più completa.

Prendendo le mosse dal primo future, quello del CBOE, si può tranquillamente affermare che fosse più facilmente manipolabile.

Tale velleità era dovuta al fatto che fosse poco liquido, quindi maggiormente aggredibile e di conseguenza influenzabile dall’immissione di grossi capitali e il cui prezzo fosse desunto esclusivamente dalla piattaforma Gemini, unica detentrice della fornitura dei prezzi sull’indice della Città del vento.

Il fatto che anche Gemini constasse di poca liquidità la rendeva anch’essa sensibile ai flussi di ingenti capitali.

Quello che è accaduto è presto detto: il crollo del BTC si è consumato il martedì nero 16 gennaio, salvo poi essere confermato il giorno dopo, data di scadenza del future sul CBOE.

Quanto accaduto sopra non si è verificato il 26 gennaio, alla scadenza del secondo future sul CME, sia perché in presenza di una liquidità più consolidata, sia perché il prezzo medio del BTC è stato calcolato attraverso una media di cinque exchange differenti.

Esaurita la disamina sui future, su cui comunque vige il più ampio soggettivismo, non essendo possibile essere certi di rapporti causa effetto in seno a progressi o cali valoriali, risulta opportuno concludere la trattazione con valutazioni di sistema che inquadrino la situazione contingente armonizzando le linee guida di un trend così emotivo da non essere preventivabile.

Quanto statuito finora si inserisce in dinamiche avversiali che insieme contribuiscono alla decostruzione di un trend da record fino a fine 2017, che ora mostra il fianco alla frenesia del mercato.

Si assiste a una quasi netta divisione di interesse sistemico tra la moneta digitale propriamente detta, in questo caso il Bitcoin, e la tecnologia strutturale che la compone e di cui la criptomoneta si rende portatrice: la blockchain.

Da più parti si pone l’accento sull’importanza di una a discapito dell’altra, quasi come il Bitcoin e le altre criptovalute fossero servite solo per veicolare una tecnologia d’avanguardia utile per il presente ma ancor più fruibile per il futuro, la cui eco avesse oscurato la funzione primaria di ogni valuta digitale, vale a dire la semplificazione transazionaria pura e semplice.

È possibile che il mercato abbia percepito quest’interesse globale (più da parte di grandi gruppi che di singoli, per la verità) per la catena dei blocchi e abbia direzionato tale sentore nella crisi in atto.

Dicevamo ieri di Stripe e della sua scelta di espungere la dicitura BTC dal novero delle criptovalute accettate.

Si potrebbe continuare citando l’inversione di rotta negli investimenti in oro dell’ultimo periodo.

Quel che rileva è che si registra grande timore di una bolla, acuita ancor di più da paroloni di premi Nobel e appartenenti a lobby finanziarie che non hanno mai visto di buon occhio il mondo cripto.

Non è questa la sede per analizzare le motivazioni di una fazione o dell’altra, ma si può sostenere come la crisi valoriale BTC e affini abbia consolidato ancor di più le posizioni di chi ha sempre sostenuto che la tecnofinanza fosse sinonimo di riciclaggio, evasione fiscale e favoreggiamento di fenomeni dalla natura illecita.

In questo periodo sarebbe astruso consigliare o sconsigliare un investimento in BTC, proprio perché è un momento peculiare, abbracciando pro e contro di entrambe le decisioni. Per l’investimento si potrebbe sottolineare l’opportunità di entrare in un mercato dal valore singolo ridotto, specie se si pensa al picco di dicembre, scommettendo sulla risalita. D’altra parte, il disincentivo all’investimento risulta appropriato se si guarda il trend dell’ultimo mese.

Mai come oggi l’entrata nel mondo cripto rappresenta una scelta personale di cui i risvolti sono avvolti nella più totale incertezza.

This article was originally posted on FX Empire

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