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Ftse Mib in calo anche sui petroliferi. Cosa sta succedendo?

Piazza Affari in calo da questa mattina. Alle 13 il Ftse Mib segnava un passivo pari a 1,8% che solo mezz'ora dopo, alle 13.30, superava il 2%, con il resto del Vecchio Continente che vedeva il Dax a -1,35% così come il Cac di Parigi a -1,36% mentre andava meglio Londra a -0,37%

In primo piano

In primo piano, ovviamente, i bancari, che dopo il sospiro di sollievo visto ieri, hanno ceduto sotto la pressione di una realtà che si sta nuovamente riaffacciando, quella di un sistema fragile, afflitto da problematiche complesse e di fronte a una sfida radicale per la riforma delle basi stesse che finora lo hanno retto. Proprio di fronte a questo scenario le vendite hanno iniziato a manifestarsi su tutti i grandi nomi portando a una serie di sospensioni. I dati sui bancari, poco dopo le 13.30, vedono Unicredit (EUREX: DE000A163206.EX - notizie) a -5,10%, Ubi banca (Amsterdam: UF8.AS - notizie) a -4,6%, Intesa Sanpaolo (Amsterdam: IO6.AS - notizie) -2,5%, banca Mps a -9,5%, Banca Popolare Milano a -4,10%

Ma non sono solo gli istituti di credito a soffrire. Oltre le banche, sul listino milanese è forte la presenza dei titoli petroliferi i quali, a loro volta, devono pagare lo scotto di un petrolio in ritirata, ormai al limite dei 40 dollari al barile dopo un rally che lo aveva portato a lambire i 52 a inizi giugno.

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A Piazza Affari, infatti, alla stessa ora, il rosso regnava sul settore: Eni (Euronext: ENI.NX - notizie) -1,4% Enel (Swiss: ENEL.SW - notizie) -1,3% Saipem (EUREX: 577305.EX - notizie) -2,9% , Snam (Amsterdam: QE6.AS - notizie) -0,8%

Cosa sta succedendo?

Le (Taiwan OTC: 8490.TWO - notizie) quotazioni del petrolio stanno retrocedendo verso la soglia dei 42,5 dollari al barile per il Brent e non oltre i 40,4 per il WTI. A lanciare il primo campanello d’allarme è stato più di un fattore. Prima di tutto, a livello globale, la ripresa della sfida tra Arabia e Iran sull’approvvigionamento globale. Ryad ha infatti annunciato nuovi sconti sul prezzo al barile per i clienti asiatici con l’intenzione di fidelizzare l’area e potenziarne i ricavi andando al di sotto dei prezzi medi praticati nella regione. I sauditi, inoltre, sono ormai ai massimi storici sul fronte della produzione con una media di 10,5 milioni di barili al giorno, quasi tutti destinati all’export vista la domanda interna pressocchè stabile con un aumento di soli 24mila barili al giorno da gennaio a maggio. La nazione araba, infatti, si trova a dover gestire a sua volta, una crisi della crescita e dei consumi derivata dalla necessità, da parte del governo, di riuscire ad abbattere alcuni costi rappresentati per lo più da agevolazioni ed esenzioni.

Una strategia, quella degli sconti ad ampio raggio, adottata per contrastare l’aumento della produzione attuato dall’Iran, aumento che in effetti era già stato annunciato da tempo, con lo scopo di riuscire ad arrivare ai livelli di produzione che Teheran poteva vantare prima della crisi diplomatica che ha portato all’embargo e alle sanzioni contro la repubblica islamica.

Ma anche gli Usa

Ma l’espansione della nazione, recentemente tornata sul mercato grazie all’inattesa collaborazione sul monitoraggio dell’attività nucleare, ha creato anche uno squilibrio sulla spartizione delle quote di mercato: il vantaggio per l’Iran è stato ottenuto erodendo le posizioni di Arabia Saudita e Iraq.

Anche in Nigeria, altro fronte caldo del greggio, le azioni di sabotaggio sono andate via via diminuendo con i colloqui tra i guerriglieri e i rappresentanti del governo, cosa che permette alle forniture di ritornare ad un trend, se non proprio stabile, certamente meno imprevedibile di prima.

Sullo sfondo resta, poi anche la crescita mondiale rallentata e confermata da quel Pil Usa che nel secondo trimestre ha registrato appena l’1,2% annuo di crescita, inferiore alle attese che arrivavano a lambire il doppio della cifra. E proprio gli Usa sono un altro fattore zavorrante per il petrolio: la settimana scorsa i siti estrattivi attivi hanno registrato un ulteriore aumento, il quinto consecutivo, che ha portato il totale a 374 dai 316 di fine maggio, poco prima del picco delle quotazioni del greggio.

Alla luce di tutto questo non stupisce perchè John Kilduff di Again Capital abbia predetto quotazioni a 35 dollari per fine settembre, decretando perciò una fine estate a dir poco difficile per un'industria del petrolio che potrebbe riprendersi, secondo lui, solo l'anno prossimo. .

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