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Ftse Mib: si guarda ai 23mila punti. E l'euro tocca 1,25

I mercati continuano il loro trend positivo rafforzandolo nella tarda mattinata. Alle 13, infatti, Piazza Affari si avvicina all'1% arrivando allo 0,9% di vantaggio ovvero 22.640 punti, aumentando le aspettative per il prossimo target fissato a 23mila. Ma il Ftse Mib non è il migliore in Europa, a batterlo è il Cac 40 parigino con 1.37% seguito dal Dax a a 0,74% e dal Ftse 100 a 0,5%. In calo il rendimento del Btp arrivato al limite del 2% (2,069% per la precisione) mentre l'euro continua a rafforzarsi arrivando a 1,25 nel cross con un dollaro che, nonostante le prospettive di un possibile aumento dei rialzi sui tassi di interesse, continua ad indebolirsi, molto probabilmente a causa di operazioni speculative.

Banche centrali osservate speciali

Una situazione particolarmente interessante quella delle borse europee che non si sono fatte spaventare dai dati sull'inflazione Usa e dal possibile nuovo trend che stanno assumendo le banche centrali, prime protagoniste (da ormai un decennio) dei mercati, con le loro politiche di accomodamento monetario. Se, infatti, all'indomani dello scoppio della crisi di Lehman Brothers, la Fed, seguita poi dalle altre istituzioni sorelle, diede vita ad una delle più ampie e lunghe operazioni di stimolo monetario della storia, oggi, come detto dopo quasi dieci anni, l'ultimo arrivato a sedere sulla poltrona dei governatori della banca centrale Usa, Jerome Powell, si trova a dover confermare, e con ogni probabilità a incrementare, la strategia di uscita dalle direttive create per risollevare l'economia Usa e, di conseguenza, anche quella mondiale.

In realtà i primi tagli agli stimoli sono stati già fatti nell'era di Janet Yellen, dopo che il suo predecessore, Ben Bernanke, creò il Quantitative Easing in seguito all'emergenza della crisi dei subprime, ma gli ultimi dati macro dell'economia Usa, dall'inflazione resa nota ieri all'aumento medio dei salari pubblicati qualche giorno fa, porranno Powell di fronte alla scelta di dover accelerare il passo con quattro aumenti dei tassi di interesse contro i tre inizialmente pronosticati. Ma il 2018 vedrà il drenaggio della liquidità immessa anche da parte delle altre banche centrali, sebbene con ritmi diversi nonostante le proiezioni di crescita globale indichino un aumento del Pil relativamente omogeneo.

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Il mondo di fronte al rialzo dei tassi

Tra le maggiori istituzioni è da segnalare che mentre la Fed e la BoE (Shenzhen: 000725.SZ - notizie) , oltre alla BPoC (la banca centrale cinese) sono in fase di aumento del costo del denaro, la Bce (Toronto: BCE-PRA.TO - notizie) e la BoJ continuano ad essere prudenti, in particolar modo la prima, a caisa di un rafforzamento presente sulla moneta unica a sua volta causato da una ripresa del Vecchio Continente che trova radice nel dissipamento delle paure degli investitori internazionali legate alle incertezze politiche e alla pressione dettata dai movimenti euroscettici in fase di declino (per lo meno non così forti da arrivare a prendere le redini del comando come inizialmente temuto). A grandi linee, però, ed estremizzando il concetto, si può delineare una generica divisione che vede da un lato la stabilizzazione dell'economia dei paesi più avanzati e dall'altro la situazione degli emergenti per la maggior parte ancora intenti a diminuire il peso delle loro valute, con alcune eccezioni che si trovano, invece, al di là dell'immaginaria linea di demarcazione che divide chi è in fase di cambio di rotta da chi, invece, continua nell'opera di allargamento della base monetaria.

Esempio più emblematico è quello dei famosi BRICs (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), qualche anno fa visti come i nuovi protagonisti dell'economia futura, ed oggi invece, divisi tra i due schieramenti: Brasile, Russia e Sudafrica, ancora intenti a tagliare il costo del denaro, India in fase di stabilizzazione e Cina ormai avviata al drenaggio con misure anche superiori a quelle statunitensi: a dicembre 2017, infatti Pechino ha portato a a 2,5 e a 2,75 i tassi di riacquisto rispettivamente a 7 giorni e a 28 giorni, proprio il giorno dopo che la Fed aveva annunciato di aver deciso sui tassi interbancari un aumento dello 0,25% che portava il livello del costo del dollaro tra 1,25% e 1,5%.

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