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Ruba l'arte (nel paese più bello del mondo) e mettila da parte

Intervista a Luca Scarlini, autore di Ladri di immagini e Il Caravaggio rubato

Un Paese che non sa difendere il suo più grande patrimonio, pur vantandosene largamente. Il commercio clandestino delle opere d'arte italiane è un business ricchissimo, ma soprattutto una vergogna nazionale non adeguatamente combattuta. Coinvolge infatti all’interno di un sistema losco molti attori che non hanno scrupoli: musei di fama, collezionisti, antiquari, burocrati e le mafie nazionali.
Uno scempio doloso, possibile nel più grande museo del mondo, l’Italia. Lo ha ben descritto Luca Scarlini, scrittore, drammaturgo, docente, in “Ladri di immagini” (pp.132, 14 euro, 2010), un’esaustiva inchiesta sul mercato dell'arte rubata in Italia, edito da Edizioni Ambiente.

La sua ultima opera invece, “Il Caravaggio rubato. Mito e cronaca di un furto”, edito da Sellerio, (pp.96, 14 euro, 2012), racconta un leggendario caso di danno al patrimonio culturale italiano: la scomparsa nel 1969 della  Natività di Caravaggio, opere magnifica dell’Oratorio di San Lorenzo, a Palermo. Un furto tragico che non ha mai trovato soluzione, figlio del degrado, dell’incuria, della longa manus della mafia sul capoluogo siculo. Yahoo! Finanza ha intervistato Luca Scarlini per comprendere meglio un fenomeno sottovalutato, che esprime il volto tragico di un Paese che non si ama abbastanza.

Il furto d’arte è un fenomeno universale: quali sono le peculiarità italiane che lo rendono possibile?

Il problema di fondo italiano è la mancanza di cataloghi che lentamente si stanno approntando ma non costituiscono ancora un Mobilier national ossia un elenco delle opere di proprietà statale e della loro collocazione. In Francia qualunque ufficio pubblico voglia un opera d’arte per esporla deve renderne conto ai musei. In Italia ci sono uffici che si tengono le opere per decenni senza che nessuno sappia dove siano andate a finire. Ci sarebbe anche da interrogarsi se sia necessario o meno, e se i luoghi di rappresentanza non se la potessero cavare con fantastici poster. In ogni caso è la mancanza di cataloghi che permette il furto. Da quando i Carabinieri, con il Nucleo tutela e patrimonio, ne pubblicano, due-tre volte l’anno le possibilità per  ladri, malfattori e disonesti si sono senz’altro ridotte.

Il furto d’arte non è mai stato al centro delle denunce partitiche. Cosa manca in tal senso alla politica italiana?

Si poteva far capire alle persone che l’arte in Italia è l’unica risorsa vera che abbiamo nella crisi industriale che permane da 30 anni. Nessun partito ha mai stabilito che il patrimonio culturale fosse un elemento veramente importante della nostra vita. Poi, come ci sono i volontari per l’ambiente, lo stesso poteva essere fatto anche per la tutela dell’arte dal momento che determinate strutture sono in condizioni complicate e non ci sono risorse. Una gestione volontaria potrebbe aiutare, anche se non è il volontariato a dover sempre risolvere le carenze di uno Stato italiano che butta denaro. Tuttavia, far capire alle persone che questo è un fronte su cui cimentarsi, potrebbe essere utile.

Perché l’archeomafia passa sotto traccia? Perché è favorita dalla collusione politica? Molti pentiti additarono Andreotti come mandante del furto del Caravaggio palermitano.

Molti mafiosi hanno fatto quel nome ma lui ha sempre negato. Ci sono stati antiquari importanti che hanno gestito attività clandestine, ci sono musei come il Metropolitan di New York che ha dovuto rendere il Cratere di Eufronio che era un vaso rubato. La mafia e l’archeomafia sono specialmente crudeli in ambito archeologico, dove i danni compiuti sono spesso letali, radicali ed eterni. Hanno potuto contare su un network di musei senza scrupoli che per anni ha preso quello che voleva in barba a qualsiasi rispetto delle leggi internazionali,che ci sono ma non sempre vengono fatte rispettare.

Un furto come quello della Natività del Caravaggio, nel 1969, sarebbe ancora possibile?


Oggi la situazione è molto migliorata. E a Palermo ci sono tre associazioni che si occupano di recupero delle opere d’arte e di segnalazione, un fatto impensabile quarant’anni fa. Di sicuro quando il Caravaggio fu rubato quella zona di Palermo, la Kalsa, era in rovina, la mafia la faceva da padrona, lo Stato non governava e quell’opera straordinaria non aveva alcuna tutela. C’era solo una serratura, e due anziane signore a guardia che per volontà della Curia non venivano rimosse. All’epoca la situazione era veramente grave.

L’atteggiamento della Chiesa è rimasto inalterato? Chiede soldi per il restauro ma non ne versa  per la tutela?

La Chiesa vuole che le opere restino nei luoghi a cui sono destinate. L’altro Caravaggio importante, Il seppellimento di santa Lucia, che aveva subito un tentato furto, dopo essere stato esposto alla galleria di Palazzo Bellomo di Siracusa, è stata riportato per volontà del Vescovo nella sede ecclesiale, malgrado alcuni la ritenessero una scelta folle. Il tema si ripropone: il museo garantisce di norma una possibilità di difesa maggiore, ma la Chiesa non vuole mollare. In quanto ai soldi, la situazione non muta dalle origini del rapporto Stato-Chiesa. La stessa ha sempre avuto sostegno dallo Stato ma gestisce le opere come desidera, anche perché la legge del Concordato e successive modifiche non stabilisce la reciprocità.

Vedi paralleli tra la crisi attuale e quella del '29, l’arte è ancora un bene rifugio?


Sì, senz’altro con un tocco più glamour. Pare che le industrie uniche su cui i ricchi ora investano siano la moda, il lusso e la gioielleria. Le opere d’arte ambite non saranno quelle dei grandi maestri, magari sono più divertenti, le tele di Andy Warhol ad esempio, e l’investimento d’arte riguarda molto i nuovi ricchi, come i russi.

Resistono le mitologie parallele sul furto d’arte e sui suoi mandanti?


Il discorso è complicato. Dell’ultimo boss, Matteo Messina Denaro, non si sa niente, eppure si dice che sia un collezionista di arte contemporanea, colleziona Andy Warhol e a Palermo gli hanno dedicato un murale in stile warholiano per tal motivo. Ai tempi del furto del Caravaggio, si affermava che Totò Riina usasse la tela come stendardo nelle riunione mafiose, cosa tutt’altro che improbabile, anche perché per quanto devoti, i mafiosi non avevano una cultura sviluppata. Messina Denaro è ateo, non gli interessa l’iconografia religiosa stile padrino, preferisce Warhol. Ovviamente sono indiscrezioni.

In Ladri di immagini critichi anche il modello amministrativo liberista anglosassone. Eppure l’Italia guarda molto a quel modello. Dove è l’equivoco?

L’equivoco di fondo è che le collezioni sono state comprate con soldi pubblici, non con quelli privati. Privato è il Getty Museum che, gestito con soldi privati, fa le scelte che vuole. I musei pubblici sono stati raccolti in secoli e secoli con opere che sono concepite per il pubblico. Patti come quello del Louvre, che periodicamente consegna parte delle opere a Dubai, o negli stati arabi, a mio parere, sono discutibili. É chiaro che arrivano soldi al museo, ma bisogna vedere se poi lo smembramento non sia un danno peggiore rispetto al cash. I musei americani hanno sempre avuto un’attitudine cool: hanno buttato via per due lire opere che poi sono diventate di grande valore, ritenendole non di moda.

Chi sono gli ultimi insospettabili nel campo del furto d’arte?

I diplomatici, dicono, ma è un mondo su cui è difficile scrivere.

Ritroveremo mai il Caravaggio perduto?

La tela è ancora ricercata in tutto il mondo, non c’è certezza che sia andata distrutta. Le sue tracce si perdono nel 1983 quando le famiglie mafiose cambiano il regime di potere e a quel punto l’opera diventa oggetto di cabaret nei processi. Tutto è ipotetico: la verità è che la tela quando fu rubata non aveva alcuna tutela.