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Gli incendi “zombie” divorano la Siberia e assediano il circolo polare

TOPSHOT - This aerial picture taken from an airplane on July 27, 2021, shows the smoke rising from a forest fire outside the village of Berdigestyakh, in the republic of Sakha, Siberia. - Russia is plagued by widespread forest fires, with the Sakha-Yakutia region in Siberia being the worst affected. According to many scientists, Russia -- especially its Siberian and Arctic regions -- is among the countries most exposed to climate change. The country has set numerous records in recent years and in June 2020 registered 38 degrees Celsius (100.4 degrees Fahrenheit) in the town of Verkhoyansk -- the highest temperature recorded above the Arctic circle since measurements began. (Photo by Dimitar DILKOFF / AFP) (Photo by DIMITAR DILKOFF/AFP via Getty Images) (Photo: DIMITAR DILKOFF via AFP via Getty Images)

(di Valentina Gentile)

Solo nominarla accendeva l’immaginazione, riportando alla mente una geografia ai limiti dell’immaginario, spazi immensi e temperature glaciali. Da qualche anno a questa parte però, in estate, la Siberia, si “accende”. Le mappe realizzate dalla rete europea di satelliti Copernicus ritraggono l’immensa provincia russa tinta di un insolito rosso. La Siberia arde, come nel 2019 e nel 2020, con fuochi che, ad oggi, hanno distrutto oltre 1 milione di ettari di bosco, e roghi a ridosso del circolo polare artico.

La più colpita è la regione della Sakha-Jacuzia, nell’estremo nordest, la più estesa unità amministrativa del mondo (abitata solo da un milione di persone), con i suoi 3 milioni di chilometri quadrati che hanno raggiunto la temperatura record di 39 gradi. Qui, come in gran parte della Siberia, aeroporti chiusi, centri urbani assediati da folte coltri di nebbia, una concentrazione di particolato nell’aria che supera di quasi 30 volte il limite consentito, aeronautica in volo per riversare tonnellate d’acqua sui terreni infuocati. Una replica amplificata di quanto già avvenuto la scorsa estate.

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Il ruolo decisivo del riscaldamento globale in questa infinita stagione degli incendi sembra ormai riconosciuto persino dalle autorità russe, fino a poco tempo fa scettiche ai limiti del negazionismo. Emblematiche le parole del governatore della Siberia, Aysen Nikolayev, all’agenzia di stampa statale RIA Novosti, secondo quanto riportato dal Moscow Times: “Ovviamente, c’è solo una ragione: il cambiamento climatico globale. Possiamo constatare come in Yakutia ogni anno stia facendo sempre più caldo. Stiamo vivendo l’estate più calda e più secca nella storia delle misurazioni meteorologiche”.

L’ennesimo allarme lo aveva dato, in aprile, anche l’Onu, con il rapporto State of the Global Climate. Il 2020, si legge nello studio, è stato uno dei tre anni più caldi mai registrati. L’ultimo decennio, 2011-2020, è il più caldo in assoluto. Tra i più colpiti, ormai ogni anno, i Paesi del Nord, come dimostrano gli incendi che feriscono la tundra e la taiga delle regioni sub-artiche boreali dell’Eurasia e d’America. La Siberia, ad esempio, da anni ha primavere ed estati molto secche, in molte aree le temperature estive sono ormai più alte della media di oltre 10 gradi.

“Le cause degli incendi boschivi sono varie: i cambiamenti climatici, i cambiamenti nella circolazione atmosferica e anche la non efficace gestione sostenibile delle foreste”, spiega Sergio Castellari, climatologo dell’Istituto nazionale di geofísica e vulcanologia (Ingv). “Si sta assistendo a una tendenza di aumento delle temperature superficiali atmosferiche (che provoca una perdita di umidità del suolo), frequenti ondate di calore seguite da siccità che rendono più facili eventuali incendi boschivi”.

Il problema è che questa “eccezionalità” sembra ormai essere divenuta normalità, particolarmente drammatica nella taiga siberiana, dove è presente la torba, estremamente ricca di carbonio, che brucia insieme agli alberi. “Le aree sottoposte ad incendi includono torbiere di permafrost, che rappresentano bombe climatiche ad orologeria, perché contengono notevoli quantità di carbonio organico”, continua Castellari. Con il riscaldamento globale il permafrost si riscalda e scongelandosi può provocare il rilascio di grandi quantità di carbonio.

Un processo che a sua volta può accelerare il riscaldamento globale perché aumenta la concentrazione atmosferica di carbonio. “Le conseguenze sono purtroppo molteplici”, aggiunge Castellani. “Si ha rilascio di carbonio dagli incendi, aumento di inquinamento atmosferico nelle aree abitative, distruzione di ecosistemi fondamentali, scongelamento del permafrost che provoca rilascio del carbonio delle torbiere e provoca anche impatti alle infrastrutture e ai trasporti. Quindi si hanno ingenti danni ambientali e socioeconomici”.

Gli incendi siberiani, e nordici in generale, che colpiscono anche Scandinavia, Canada e Stati Uniti, sono estesi e difficili da estinguere. Sono diversi ormai gli studi, come quello pubblicato lo scorso anno su New Scientist e quello di pochi mesi fa su Nature, che danno una spiegazione, portando alla ribalta un fenomeno già conosciuto ma di cui si sa, finora, ancora poco: gli incendi latenti, o, come vengono chiamati con un approccio più cinematografico, gli “incendi zombie”.

I roghi artici che sembrano ormai essere diventati usuali nelle estati degli ultimi anni, in realtà si ripresentano puntualmente ogni anno perché non smettono mai di venire alimentati. “Alcuni incendi mostrano un comportamento di ‘svernamento’, in cui rimangono senza fiamma durante la stagione senza incendi e divampano nella primavera successiva”, si legge nello studio Overwintering fires in boreal forests, pubblicato a maggio 2021, in cui gli autori hanno utilizzato un algoritmo in grado di distinguere un incendio latente da uno che si sviluppa da zero, e di calcolare l’estensione dei roghi.

Praticamente, questi incendi continuano a covare tutto l’anno, per poi esplodere in estate. Questo perché, una volta incendiata, la torba che si trova sotto al livello del suolo non si spegne mai completamente, nemmeno nei mesi freddi, e quando le temperature si rialzano i fuochi riemergono, tornando allo scoperto e innescando di nuovo le catene di incendi. La torba, accumulatore di Co2, bruciando libera non solo dosi massicce di anidride carbonica e monossido di carbonio, ma anche altri gas, come ad esempio il metano.

Insomma, un circolo vizioso, e altamente tossico, che mette a rischio l’intero pianeta. E se algoritmi e mappature satellitari permettono con sempre maggiore precisione di individuare gli incendi, è chiaro che l’unica vera prevenzione efficace è la lotta al cambiamento climatico. A ricordarci che siamo ancora in tempo, ma ancora per poco, è di nuovo il climatologo Sergio Castellari: “Quest’anno tutti i Paesi s’incontrano in due occasioni fondamentali : la Cop15 della Convention on Biological Diversity in ottobre e la Cop26 della UN Framework Convention on Climate Change in novembre. I giovani, che subiranno maggiormente gli effetti degli errori della nostra generazione, si aspettano passi in avanti”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.