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Gli Usa illudono a primavera

L’America deve ancora dimostrare che cosa è capace di fare. E non importa, dicono gli operatori, se gli ultimi numeri prodotti dalla prima economia del mondo mostrano segni di miglioramento. Per convincere gli investitori ad acquistare con decisione asset Usa ci vuole altro.

L'indice dei prezzi al consumo negli Stati Uniti è salito dello 0,4% mese su mese ad aprile, in linea alle attese del consenso. L’indice dei prezzi al consumo core comunicato dal Dipartimento del commercio è salito dello 0,2% su base mensile, anche in questo caso come da previsioni. Inoltre, i prezzi energetici, sempre ad aprile, sono aumentati del 3,4%, mentre quelli alimentari dello 0,2%. A livello annuale l'indice dei prezzi al consumo ha segnato +1,1% (2,1% quello core).

La produzione industriale è aumentata dello 0,7% in aprile, l’incremento maggiore degli ultimi 17 mesi. Il risultato è anche superiore alle attese degli analisti (+0,3%). Il livello di utilizzo della capacità produttiva è salito al 75,4% dal precedente 74,9%. Rispetto allo stesso mese del 2015, comunque, la produzione industriale è scesa dell’1,1%.

Occhio ai numeri
Cosa c’è che non va allora? “Bisogna sempre leggere i dati nella giusta prospettiva”, spiega Robert Johnson, responsabile dell’analisi economica di Morningstar (NasdaqGS: MORN - notizie) . “Abbiamo avuto un inizio 2016 difficile anche a causa di un inverno duro e della situazione delle Borse mondiali. Ora, con i dati di aprile, iniziamo a vedere segnali di miglioramento. Dobbiamo però ricordarci che questo succede ogni anno, per cui non conviene farsi trascinare dall’entusiasmo prima che il miglioramento dei risultati sia confermato dai prossimi numeri congiunturali”.

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Il quadro generale con cui hanno a che fare gli investitori, del resto, invita alla prudenza. E’ vero, ad esempio, che l’economia Usa è cresciuta dello 0,5% nel primo trimestre del 2016. Ma le attese degli analisti erano per un incremento dello 0,7%. Inoltre, si tratta del tasso di crescita trimestrale più basso degli ultimi due anni. Gran parte della flessione è dovuta alla forte diminuzione degli investimenti delle aziende private e al tasso di crescita delle scorte più basso degli ultimi due anni. Le previsioni di Morningstar restano per una crescita del Pil compresa fra il 2% e il 2,5% nel lungo periodo.

Cosa farà la Fed
Gli occhi, intanto, restano puntati sulla Federal Reserve. Un’inflazione core intorno al 2% potrebbe spingere la Banca centrale americana ad accelerare nel suo piano di graduale crescita dei tassi di interesse. L’istituto guidato da Janet Yellen, peraltro, ha lasciato aperta la porta a un rialzo dei tassi nella riunione del 14 e 15 giugno prossimi. Almeno stando ai verbali della riunione del 26 e 27 aprile del Federal Open Market Committee, il braccio di politica monetaria. Le cosiddette minute avvertono gli investitori a non sottostimare la possibilità di una stretta il mese prossimo. I membri del Fomc infatti hanno voluto “lasciare aperte le loro opzioni” di politica monetaria e “mantenere flessibilità”, agendo a seconda dell'andamento dell'inflazione e del mercato del lavoro. Nell’ultimo meeting, per la terza volta di fila, la Banca centrale Usa ha lasciato i tassi invariati allo 0,25- 0,50%, livello a cui erano stati portati nel dicembre del 2015. Allora si era arrivati a una stretta di 25 punti base, la prima dal giugno 2006. Sempre ad aprile la Fed ha confermato un ulteriore miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro, aggiungendo tuttavia che la crescita dell'attività economica sembrava aver rallentato.