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Gli Usa riscoprono la Politica del Buon Vicinato per frenare la Cina

Businessman/Politician figurines examine a concrete globe (Americas) (Photo: hamzaturkkol via Getty Images)
Businessman/Politician figurines examine a concrete globe (Americas) (Photo: hamzaturkkol via Getty Images)

La Cina cresce ogni giorno di più in America Latina e gli Stati Uniti non intendono più restare a guardare. Il riavvicinamento di Washington con i paesi sudamericani in chiave anti-cinese è in atto, spiegano Antonella Mori e Gilberto Bonalumi, interpellati da Huffpost. Da valutare piuttosto il modo in cui Washington riadatterà la vecchia Good Neighbour Policy: “La Cina sta conquistando il mondo attraverso la costruzione di porti”, l’America Latina non fa eccezione, il rapporto tra il continente sudamericano e Pechino “è molto forte”, spiega Bonalumi, ex sottosegretario agli Esteri nei governi Goria e De Mita e senior advisor dell’Ispi, convinto che la presenza cinese, il tema migratorio e il traffico di droga siano elementi già sufficienti per far muovere gli Stati Uniti.

La delegazione di funzionari diplomatici guidata da Daleep Singh, consigliere del presidente Joe Biden per la sicurezza nazionale, si è imbarcata con destinazione Colombia dove incontrerà il presidente Ivan Duque. Poi sarà la volta di Panama e Ecuador. Quest’ultimo è un caso esemplare del tentativo dell’amministrazione statunitense di riallacciare i rapporti. “L’Ecuador è stato aiutato a pagare una tranche del debito che Quito ha con la Cina (6,5 miliardi di dollari, ndr), così da evitare che Pechino potesse approfittare dell’insolvenza” spiega Antonella Mori, head del programma America Latina dell’Ispi.

Nei vari incontri con i capi di Stato, i funzionari inviati da Washington spiegheranno i termini della B3W, acronimo dell’iniziativa Build Back Better World partorita dal G7 di giugno, con l’intento di “soddisfare le enormi esigenze di infrastrutture dei Paesi a basso e medio reddito”, come aveva affermato la Casa Bianca. In tutto il mondo in via di sviluppo, la necessità di infrastrutture ha un costo enorme, stimato per oltre 40 mila miliardi di dollari. I progetti sono incentrati sul clima, la salute, lo sviluppo tecnologico e la promozione dei diritti e dell’uguaglianza di genere. La discussione non coinvolgerà solo i diversi leader nazionali, perché i piani saranno sottoposti anche ai funzionari di alto livello, imprenditori e attivisti. Dalle comunità locali, gli inviati statunitensi si aspettano idee da poter trasformare in realtà nella piena trasparenza e nel rispetto degli standard ambientali. Insomma, la B3W altro non è che la risposta occidentale alla Belt and Road Initiative, la nuova Via della Seta cinese che raggiunge eccome anche il Sudamerica con diciannove Stati aderenti.

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D’altronde, la caccia alle materie prime ha costretto la Cina a mettere gli occhi sulla Regione. Così per Brasile, Cile, Perù e Uruguay il primo partner commerciale è diventato Pechino, che da quindici anni tesse rapporti con molti altri Paesi sudamericani. Dal 2005 al 2019, gli investimenti del gigante asiatico hanno ammontato a 130 miliardi di dollari – di cui quasi la metà con il Brasile. Questi hanno riguardato per lo più progetti energetici (56%) e di estrazione mineraria (28%). Così come ingenti sono stati i prestiti nel periodo 2005-2020, pari a 137 miliardi di dollari. La nuova Via della Seta, quindi, rappresenta solo uno dei tanti tunnel scavati dal Dragone per penetrare in America Latina.

“Fossi negli Stati Uniti”, suggerisce Bonalumi, “mi preoccuperei di più di come si sta articolando la Cina in questa area. Aiuti, ma soprattutto costruzione di porti. Sta cercando di finanziare quello in Nicaragua e, se riuscisse a posizionarsi sui due lati del canale di Panama, da lì rifornirebbero l’intero fronte atlantico delle due Americhe”.

La Cina è entrata più facilmente per la minore attenzione rivolta dagli Usa al Sudamerica. La guerra al terrorismo dopo l’attentato alle Torri Gemelli ha spostato l’attenzione di Washington su altre zone del mondo, Medio Oriente in primis. Quando Joe Biden ha commentato il ritiro definitivo dall’Afghanistan, dopo 20 anni di guerra, ha parlato dell’interesse nazionale a concentrarsi su altre minacce, su tutti l’espansionismo cinese. “Il rapporto tra Stati Uniti e America Latina non si è mai interrotto - spiega Gilberto Bonalumi - anche se l’informazione ha dato giustamente ampio spazio a quello che si muoveva nella realtà medio orientale e asiatica”. Anche oggi, “fotografare gli Usa come totalmente focalizzati nell’Indo-Pacifico è un piccolo errore, perché l’America Latina riveste ancora un ruolo importante. D’altronde, si stanno ritrovando la Cina come quinta colonna nella loro sfera di influenza”. Vero è però che “il legame deve essere riannodato” e la visita della delegazione mandata dal presidente Biden ne è la concreta testimonianza. Attualmente, però, Bonalumi non vede “una politica che possa ripristinare degli assi anche di natura transatlantica, data la crisi in cui verte il Nafta (North American Free Trade) e lo stallo del Mercosur (Mercado Común del Sur)”.

“C’è la volontà di tenere lontana la Cina dal proprio cortile di casa e quella di avere un mercato regionale che ruoti attorno ai Paesi vicini”, spiega Antonella Mori. L’interesse è anche collegato alla questione migratoria, “la politica di respingimenti l’abbiamo vista sia con Donald Trump che nell’ultimo periodo con Joe Biden. Quello che però quest’ultimo si è impegnato a fare è di creare delle opportunità di sviluppo in Centro America”. Il riferimento va al programma da 4 miliardi di dollari che l’amministrazione in carica si è impegnata versare nelle casse di alcuni Paesi dell’area, purché condizionati all’impegno nel contrasto alla corruzione e alla violenza.

La realtà politica è mutata negli ultimi decenni. “I cambiamenti degli ultimi venti anni non rassicurano gli Stati Uniti”, spiega il Loris Zanatta, professore di Storia dell’America Latina all’Università di Bologna, raggiunto telefonicamente da Huffpost. “Se in precedenza potevano contare almeno su una grossa fetta di Paesi liberali, oggi non è più così. Penso al Perù, al Cile, alla Colombia. Il Messico ha svoltato verso il populismo, seppur attenuato rispetto all’asse radicale di Venezuela, Nicaragua e Cuba che sono ancora lì”. La preoccupazione a Washington è del tutto normale, quindi, specie “se questo si somma all’interesse della Cina, che è uno dei partner di prim’ordine nella regione”.

Pechino è stata capace, non a caso, di attrarre a sé governi storicamente più vicini all’idea occidentale. È il caso del Brasile di Jair Bolsonaro, che da sempre respinge la linea politica cinese ma allo stesso tempo rappresenta un partner di cui non può più far a meno. Dai 3 miliardi di dollari del 2001, gli scambi commerciali tra i due Paesi sono passati ai 44 miliardi di dollari del 2010 e infine ai 100 miliardi del 2019, anno in cui il Brasile ha ospitato l’undicesimo vertice dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud-Africa). D’altronde, l’interesse è reciproco: il niobio e il ferro, di cui la Cina è il maggior consumatore al mondo, così come la soia, sono risorse di cui il Brasile è ricchissimo. Dopo l’addio alla Casa Bianca dell’amico Donald Trump, tra l’altro, per Jair Bolsonaro non è stato più possibile chiudere a Xi Jinping, che ha bussato alla sua porta carico di vaccini in un momento critico per il Brasile e riaprendo in tal maniera il discorso sul 5G.

Eppure, dalla competizione tra Stati Uniti e Cina può nascere un qualcosa di buono per l’area. “La concorrenza può portare benefici”, sottolinea Mori. Se gli investimenti promossi dall’Occidente saranno trasparenti e punteranno alla sostenibilità ambientale così come allo sviluppo sociale delle comunità locali, allora anche Pechino potrebbe essere chiamata a seguire la stessa strada. “Molto dipende dai presidenti dei vari Stati su cui sono previsti gli investimenti. Il pericolo della corruzione è sempre dietro l’angolo”. E poi, conclude, “in questa partita può essere coinvolta anche l’Europa”. Ma la Cina non ne se andrà, vista l’importanza che il Continente riveste e gli Stati Uniti torneranno forte, in nome del “buon vicinato”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.