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Governare il futuro. Negli Usa una proposta di legge dalla parte dei consumatori

Basta prese in giro: nessuno legge i termini d’uso e le informative sulla privacy dei servizi online e questo sta consentendo ai fornitori di questi servizi di ottenere tutto ciò che vogliono, a norma di legge, da utenti e consumatori.

È ora di cambiare.

È muovendo da qui che negli USA è appena stata presentata una proposta di legge bipartisan davvero interessante.

Tutti i grandi fornitori di servizi online dovrebbero pubblicare sui loro siti internet, in cima ai termini d’uso dei propri servizi, un documento sintetico o, forse, meglio ancora un’etichetta riassuntiva tipo le etichette nutrizionali con le informazioni essenziali da offrire a utenti e consumatori sugli effetti e le conseguenze giuridiche legate all’adesione ai termini d’uso e all’utilizzo dei servizi.

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E queste etichette riassuntive dovrebbero essere scritte in un linguaggio leggibile anche da una macchina e, cioè, in maniera tale che, ad esempio, un software potrebbe leggerne il contenuto per conto dell’utente e fornire a quest’ultimo degli alert su taluni aspetti particolarmente significativi o, magari, comparare automaticamente le etichette di due fornitori di servizi analoghi.

Ma non basta.

L’etichetta dovrebbe essere interattiva e includere elementi grafici, icone, tabelle e link.

Queste etichette dovrebbero almeno chiarire all’utente quanto tempo, più o meno, potrebbe richiedere la lettura integrale dei termini d’uso, le categorie di dati personali che il fornitore del servizio dovrà necessariamente trattare per dare esecuzione all’oggetto principale del contratto e quelli che, eventualmente, vorrebbe trattare per finalità accessorie, un link alle versioni precedenti dei termini d’uso nonché una lista delle violazioni della privacy subite dal fornitore negli ultimi tre anni.

Toccherà alla Federal Trade Commission dettare le disposizioni di attuazione della legge, qualora il disegno di legge avesse successo e determinare, quindi, le modalità grafiche e tecnologiche per la pubblicazione delle etichette in questione così come vigilare sulla corretta applicazione delle nuove regole.

È un’iniziativa probabilmente ambiziosa, certamente non risolutiva ma che ha il pregio di accendere un faro su un problema non più procrastinabile ovvero quello di interi sistemi regolamentari – ivi incluso quello a tutela della protezione dei dati personali – basati sull’imposizione in capo alla parte forte del rapporto di una serie di obblighi di informazione che oggi sono largamente disattesi e di proporre soluzioni intelligenti, moderne e di buon senso.

Si tratta, probabilmente, di un’iniziativa che andrebbe replicata anche da questa parte dell’oceano in attesa di identificare soluzioni più efficaci perché anche e, anzi, forse, soprattutto da noi, oggettivamente, gli obblighi di informazione hanno fatto il loro tempo e da strumento di rafforzamento della posizione giuridica dei deboli davanti ai forti sono diventati strumenti che rendono più forti i forti e sempre più deboli i deboli.

I primi, infatti, nella società dell’accetta e continua hanno facile gioco a dimostrare di avere adempiuto agli obblighi di legge senza, tuttavia, che così facendo abbiano fornito ai secondi nessuna effettiva maggiore consapevolezza sui termini contrattuali mentre utenti e consumatori si ritrovano obbligati al rispetto di termini e condizioni che, in realtà, non conoscono.

Insomma, che si voglia percorrere la strada americana o che se ne voglia percorrere una diversa è urgente correre ai ripari e affrontare il problema.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.