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Governare il futuro. A proposito di Apple, della privacy e del mercato

Non critica Apple – anzi – ma il Ceo di Snap, la società che gestisce Snapchat, il social per immagini che spopola in giro per il mondo, dice senza tanti giri di parole che nel 2021 le cose sono andate bene ma sarebbero andate decisamente meglio se Apple non avesse lanciato il suo App Tracking Transparency.

Proteggere meglio e di più la privacy degli utenti dai sistemi di tracciamento e profilazione utilizzati dai produttori e gestori delle app.

È questo l’obiettivo con il quale Apple dichiara di aver progettato, sviluppato e messo in funzione il suo sistema anti-tracciamento, per intenderci quello per effetto del quale, ormai da qualche mese, ogni volta che scarichiamo una nuova app o un aggiornamento di una vecchia app il nostro Iphone ci chiede se intendiamo o meno autorizzare il gestore dell’app a tracciarci e farci tracciare.

E non c’è nessun dubbio che, in effetti, il sistema renda più difficile per app grandi e piccine, ficcanaso e meno ficcanaso, oneste e disoneste, trasparenti e meno trasparenti pedinarci nelle dinamiche digitali e accumulare dati su di noi.

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In questo senso, probabilmente, ha ragione – ed è anzi apprezzabile Evan Spiegel, il CEO di Snapchat, quando, pur constatando che il nuovo sistema di Apple ha impedito ai suoi investitori pubblicitari di misurare come in passato l’efficacia delle campagne promosse attraverso Snapchat e ha, quindi, determinato una contrazione dei ricavi della sua società, ammette senza tanti giri di parole che la misura adottata dall’azienda della mela morsicata è comunque importante e fa bene alla salute dell’ecosistema dell’app economy.

Tanta onestà intellettuale non comune.

Parole decisamente diverse da quelle con le quali Facebook ha accolto la novità introdotta da Apple e l’ha ripetutamente indicata come una trovata dell’azienda di Cupertino per danneggiare i concorrenti sul mercato dell’advertising a tutto proprio vantaggio.

La privacy come alibi di obiettivi, finalità e ambizioni anticompetitive, insomma.

Senza volere né potere abbandonarsi a un processo alle intenzioni chiedendosi se dietro la mossa di Apple ci sia la reale volontà di difendere i propri utenti e, per questa via, la sicurezza, lato privacy, del proprio ecosistema o, piuttosto, fare un torto ai concorrenti, ovviamente è impossibile non prendere atto del fatto che un qualche pregiudizio alla raccolta pubblicitaria realizzata attraverso milioni di app distribuite via Apple Store, l’App Tracking Transparency lo produce.

E non basta.

Perché il Financial Times, qualche settimana fa, ha osservato e messo nero su bianco, numeri alla mano, che a seguito dell’introduzione del nuovo sistema anti-tracciamento, il sistema pubblicitario di casa Apple ha visto schizzare alle stelle i propri risultati.

Insomma una gran quantità di investitori pubblicitari impossibilitati a raccogliere attraverso i gestori dei servizi e delle app dei quali si sono serviti fino a ieri dati utili a misurare l’efficacia delle proprie campagne promozionali si sono rivolti a Apple.

E, sempre secondo il Financial Times, Apple, in una manciata di mesi avrebbe visto addirittura triplicati i propri ricavi prodotti dal proprio sistema di advertising online.

Effetto collaterale non voluto ma ottenuto o obiettivo di business perseguito con determinazione, cambia poco: il risultato c’è e si vede – e si vedrà sempre di più – e la dice lunga sul rapporto sempre più stretto che esiste tra privacy e mercato.

Non fermarci a riflettere su questo rapporto e non sforzarci di identificare in fretta soluzioni di buon governo del fenomeno quanto prima possibile sarebbe gravissimo, anzi imperdonabile.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.