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Grana giustizia per Conte e Letta, nessuno ha molta corda da tirare

Giustizia (Photo: ANSA)
Giustizia (Photo: ANSA)

Quello sulla giustizia è un gioco complicatissimo in cui Giuseppe Conte ha bisogno di Enrico Letta ed Enrico Letta ha bisogno di Giuseppe Conte, ma nel quale nessuno dei due può permettersi di tirare la corda più di tanto, pena scuotere il governo oltre il dovuto e il voluto. Il neo leader del Movimento 5 stelle necessita del Pd per non rimanere isolato nella richiesta di aggiustamenti all’impianto messo a punto da Marta Cartabia, il segretario Dem non può permettersi di trovarsi a votare la riforma da solo insieme “all’amico di quelli che sparano”, per usare le parole di uno dei suoi.

I ministri M5s sono rimasti spiazzati dalla mossa di Mario Draghi, quella di porre con largo anticipo l’autorizzazione alla fiducia e di darne un rilievo politico pesante, con tanto di presenza della ministra della Giustizia in una conferenza stampa che in teoria doveva essere incentrata sul Green pass. “Ma non è che ci si muove senza coordinarsi su queste cose”, spiega una fonte di governo M5s, alludendo al fatto che la notizia era arrivata qualche ora prima nella war room 5 stelle, e che il non alzare un polverone in quella sede è stato valutato insieme allo stesso Conte.

L’ex premier e il suo successore d’altronde sono in continuo contatto da lunedì scorso, quando il professore di Firenze si è impegnato a proporre alcune modifiche al testo. Quelle pervenute a Palazzo Chigi nelle ultime 48 ore hanno fatto storcere il naso a Draghi: allungare a tre anni il tempo per i processi d’appello, arrivando a quattro nel caso di richiesta dei magistrati, continuare ad applicare la legge Bonafede per tutti i reati associativi e per quelli contro la Pubblica amministrazione. Uno stravolgimento del senso della riforma per il capo del Governo, che ha deciso di anticipare tutti chiedendo la fiducia per “misurare il consenso intorno al testo” di fronte a “distanze incolmabili fra gli alleati”.

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Una partita giocata all’attacco in cui il Movimento è improvvisamente costretto a trovare una soluzione per disinnescare la mina su cui rischia di saltare per aria. Come se nulla fosse, come se non fosse stata presente in Cdm votando sì all’impianto Cartabia e poi di nuovo non opponendosi alla richiesta di fiducia, la ministra Fabiana Dadone ha provato a mostrare i muscoli: l’ipotesi di dimissioni dei ministri M5s senza miglioramenti del testo “è una cosa da valutare insieme a Conte”, l’appoggio di M5s al governo “dipende da quale sarà l’apertura sulle modifiche tecniche”.

Il campanello d’allarme che suona al Nazareno è più simile a una sirena antiaerea. I dem schiumano rabbia: “Questa non è la strada giusta, se si vuole lavorare insieme bene, ma così si va a sbattere”. Un nervosismo dettato dal fatto che le interlocuzioni tra i giallorossi sul tema non solo non si sono mai interrotte, ma sono alacremente andate avanti fino a ieri. Tra Conte e Letta, certo, ma anche a livello parlamentare, dove i pentastellati hanno trovato in Debora Serracchiani l’interlocutrice per trovare un terreno comune sul quale muoversi. I telefoni sono roventi, gli sherpa Dem chiedono di fare marcia indietro, di correggere il tiro di Dadone che spara altissimo, altrimenti su questo versante non ci sarà più possibilità d’intesa.

Il Pd ha una bussola che prevede due punti cardinali. Il primo è quello di trovare una mediazione il più possibile condivisa per una riforma che venga percepita come “propria” anche dai 5 stelle, per non ritrovarsi, proprio sulla giustizia, nella compagnia dei soli Lega e Forza Italia, che hanno capito le difficoltà degli strani alleati e provano a forzarne le contraddizioni. Il secondo però rimane quello di continuare a sostenere il governo Draghi, autore di una riforma nella quale comunque il partito si riconosce.

“Se i 5 stelle continuano a insistere per allungare la lista dei reati imprescrittibili, ecco questa è una posizione estrema su cui non possiamo seguirli”, spiega chi ha in mano il dossier. I Dem lavorano da un lato per una norma transitoria che differisca l’entrata in vigore della legge il tempo necessario affinché gli uffici giudiziari si dotino di personale, tecnologia e pool di esperti per l’ufficio del processo tali da poter smaltire nei tempi richiesti la mole di lavoro che li grava, dall’altro per un meccanismo tecnico che permetta ai tribunali, sulla base di elementi oggettivi e solo in caso di reati gravi, di allungare, ma sempre con tempi ragionevoli e definiti, il termine per l’improcedibilità.

Sicuramente un terreno sul quale si possono trovare convergenze con i 5 stelle, ma oltre quello non si va, mentre nell’altra metà del campo giallorosso è ancora ritenuto troppo poco. La fuga in avanti di Dadone non è piaciuta a molti compagni di partito, ma segnala un disagio non solo suo. Riparte come da tradizione il pallottoliere, e al momento si accreditano tra i venti e i trenta i parlamentari indisponibili, o comunque molto dubbiosi, a votare la fiducia a questo testo. Attacca Luca Frusone, onorevole alla seconda legislatura: “La riforma della giustizia così com’è cancella un punto saldo del programma del Movimento. Se non vengono introdotte delle modifiche, bisogna prendere una decisione perché noi siamo al Governo per difendere i risultati raggiunti dal M5s nell’interesse dei cittadini”. Gli fa eco Francesco Berti, primo mandato: “L’apposizione della fiducia sulla riforma della giustizia, senza neanche un vaglio delle inammissibilità da parte della Commissione competente è un atto inutile quanto ostile, un segnale di disprezzo nei confronti del dibattito parlamentare. Bruttissima mossa di Draghi”.

“È la linea Travaglio - spiega un loro collega - che in una parte del nostro mondo pesa e non poco”. Il Pd rumoreggia per l’escalation dei toni, il fronte comune che prova a infilarsi nell’apertura a modifiche tecniche mostrata da Draghi e Cartabia rischia seriamente di sfaldarsi. Dadone spiega ai colleghi che è stata fraintesa, che non era sua intenzione strappare, a metà pomeriggio dice via Facebook che “non è nel mio stile minacciare quindi respingo al mittente i titoli apparsi in tal senso ma è nel nostro stile dialogare e confrontarci. Lo stanno facendo Draghi e Conte che sono due persone di alto profilo e sono certa troveranno punti di incontro”, aggiungendo che “ha fiducia nella politica e meno nel gossip”, qualunque cosa significhi in questo caso. C’è tempo una settimana per far quadrare il cerchio, venerdì prossimo il testo Cartabia andrà in aula, Draghi punta ad approvarlo alla Camera prima della pausa estiva e la strada, per Letta e ancor più per Conte, vista da qui sembra ancora lunghissima.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.

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