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Green Pass, portuali e soprattutto camionisti: venerdì l'Italia può bloccarsi

Protesters burn bengalos as they pass through the streets of the city during a general strike called by the grassroots unions against the Draghi government 'which starves the workers', according to the protesters, in Genoa, Italy, 11 October 2021. ANSA/LUCA ZENNARO  (Photo: LUCA ZENNAROANSA)
Protesters burn bengalos as they pass through the streets of the city during a general strike called by the grassroots unions against the Draghi government 'which starves the workers', according to the protesters, in Genoa, Italy, 11 October 2021. ANSA/LUCA ZENNARO (Photo: LUCA ZENNAROANSA)

Aziende di trasporto che non sanno se far partire i mezzi, altre che non sanno se farli tornare, autisti che non sanno come comportarsi se tra due giorni, quando entrerà in vigore l’obbligo di green pass per tutti i lavoratori, saranno già in viaggio. “Abbiamo 400mila dipendenti nelle aziende dei trasporto e altrettanti impiegati nelle attività di magazzinaggio. Se il 30% di questi, non muniti di green pass, non si presenta a lavoro, è finita. Senza interventi del Governo, da dopodomani sarà il caos”, dice all’HuffPost Ivano Russo, direttore generale di Confetra, la confederazione composta da circa 100mila imprese della logistica che producono 85 miliardi di valore, circa il 9% del Pil. Il mondo dei trasporti, tanto osannato durante la pandemia per non essersi mai fermato garantendo gli approvvigionamenti durante il lockdown produttivo totale, conta le ore in vista del 15 ottobre. Il cortocircuito rischia di essere totale, produttivo, burocratico e operativo. E anche politico, dopo il passo falso del Viminale che negli ultimi due giorni ha diramato due circolari, una ‘correttiva’ dell’altra, innescando uno scontro politico all’interno della maggioranza.

“Da lunedì le nostre imprese si vedranno costrette a cancellare i viaggi programmati, generando altro caos sulle catene di fornitura già messe a dura prova dalla pandemia, dalla quale ancora non si sono riprese”, prosegue Russo. “Noi importiamo di tutto, il 90% delle nostre materie prime che impieghiamo nella produzione industriale o in quella di beni alimentare vengono dall’estero”. Se in un primo momento il problema riguarderà le aziende di trasporto, poi le ripercussioni ricadranno a catena su tutto il tessuto industriale. A causa del caos burocratico che sta nascendo con l’introduzione del green pass, ma pure per le criticità del sistema italiano che paga anni di sottovalutazione del processo logistico. Le industrie italiane sono infatti “schiave” dei colossi stranieri della logistica. Circa il 70% dell’import-export italiano infatti avviene secondo la clausola “franco fabbrica” (Ex Works nella codificazione del commercio internazionale), contro una media europa del 30%. Vuol dire che l’importatore straniero che acquista, ad esempio, un bene da un produttore italiano, si fa carico di tutto il processo logistico come il ritiro della merce, le fasi del trasporto, le imprese da impiegare, le rotte e le vie commerciali da seguire, dove effettuare scali.

Imprese estere vuol dire anche autotrasportatori di nazionalità esterà che si vanno ad aggiungere al circa 40% dei camionisti di imprese italiane già di origine straniera. E in particolare dell’Europa orientale. Alcuni sono vaccinati, altri no, e quindi sprovvisti di green pass, altri ancora sono vaccinati con il farmaco russo o cinese, non riconsciuti dall’Agenzia europea per i medicinali, l’Ema, e da quella italiana, l’Aifa, e quindi non validi per la certificazione verde. Sui tir viaggia di tutto: autisti bielorussi o rumeni fanno arrivare da noi il grano per l’industria pastaria - l’Italia ne importa il 50% - a bordo dei tir, o i turchi che forniscono di materiali come l’argilla destinato al distretto della ceramica di Sassuolo, per fare qualche esempio. Per non parlare di petrolio e gas che viaggia sui mezzi bulk, anche quelli provenienti dall’estero.

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La logistica da tempo chiede misure ad hoc per il settore. “Qual è il senso di imporre il green pass a un autista che è chiuso in cabina per migliaia di chilometri, da solo, e impedirgli di scaricare la merce come fatto finora? Non chiediamo deroghe, ma è chiaro che la misura andava cucita in base alle esigenze di ogni settore, non una misura flat”, dice Russo.

Al momento il Governo sembra concentrato sui porti, altra fonte di preoccupazione. Il Viminale ha emanato nell’arco di poche ore due circolari, invitando con la prima le imprese che operano negli scali portuali a offrire i tamponi gratis ai dipendenti sprovvisti di green pass, e poi correggendo il tiro suggerendo di valutare al meglio “come fornirlo ai lavoratori” senza pass. Comunicazioni che hanno fatto scoppiare un’accesa polemica all’interno della maggioranza che sostiene il Governo Draghi. Perché la linea di Palazzo Chigi è sempre stata quella della fermezza: obbligo di green pass per tutti i lavoratori, i quindici milioni di dipendenti privati, i tre milioni di pubblici e i cinque milioni di autonomi. Senza distinzioni di sorta. E per chi non sarà in possesso di certificazione verde, una sola strada da percorrere: l’esclusione dal lavoro. La nota del Ministero dell’Interno ha perciò aperto una falla nella linea del Governo, addossando in un primo momento il costo dei tamponi alle imprese, dopo aver garantito il contrario per settimane, e successivamente correggendo il tiro, dando vaghe indicazioni alle imprese su come risolvere le criticità a cui vanno incontro.

Risultato? Cortocircuito nella maggioranza. Il Partito Democratico ha definito “inopportuna” la circolare dell’Interno: “A pochissimi giorni dall’entrata in vigore dell’obbligo di Green Pass, una larga parte del mondo portuale si è trovato di fronte ad una ‘raccomandazione’ del capo di gabinetto del Viminale che di fatto capovolgeva le indicazioni venute fino ad allora dal Governo in tema di gratuità dei tamponi”, ha dichiarato il dem Andrea Romano. Ma la Lega, alleata di governo, si è posizionata sul fronte opposto: “Tamponi rapidi e gratuiti per i lavoratori del porto di Trieste senza green pass per evitare problemi. Parola della Lamorgese. Ma quindi si può fare. E per gli altri milioni di lavoratori invece zero? Invece delle imprese, a contribuire dovrebbe essere lo Stato, Inadeguata”, ha attaccato Matteo Salvini.

Al momento l’attenzione è comunque calamitata dai lavoratori portuali. Nel primo porto italiano, Genova, dove si stima un 20% di portuali senza pass, alcuni terminalisti si sono offerti di pagare il tampone ai dipendenti, ma non tutte. “La decisione è singola di ogni azienda, alcune hanno dato la disponibilità altre sono libere di scegliere. Come Confindustria ribadiamo che le norme dicono che il tampone lo paghi il lavoratore”, ha detto Beppe Costa, presidente dell’associazione dei terminalisti genovesi di Confindustria. E tuttavia gli espedienti trovati in fretta e furia durante i vertici nelle prefetture locali non appaiono per nulla risolutivi. “Il problema vero per il porto di Genova, ma in generale per tutti porti, in relazione al Green pass sarà l’autotrasporto”, ha detto il segretario generale della Uil Trasporti della Liguria Roberto Gulli. “Il problema sono i camionisti. Per loro non c’è l’impegno né delle associazioni, né delle aziende a pagare il tampone. Tra gli autisti circa il 30% è senza vaccino. Venerdì potrebbe esserci il caos”.

L’esempio emblematico è quello di Trieste: qui le imprese del porto si sono impegnate a pagare i tamponi fino al 31 dicembre. Ma i portuali, anche quelli vaccinati, sono contrari all’obbligo della certificazione, non al vaccino. Ieri il presidente del porto di Trieste Zeno D’Agostino ha minacciato le dimissioni se non si arriverà a un accordo che garantisca la piena operatività dei terminal. “Venerdì guarderò la situazione e se il porto di Trieste non sarà governato dall’Autorità ma da altri, allora prenderò la decisione. Non è possibile un blocco a oltranza” di un’infrastruttura strategica come il porto “anche perchè il ritiro dell’obbligo di green pass non dipende nemmeno da me”.

Dall’altro lato, i lavoratori si sono arroccati sulla loro posizione no-pass: “Noi come portuali ribadiamo con forza e vogliamo che sia chiaro il messaggio che nulla di tutto ciò farà sì che noi scendiamo a patti fino a quando non sarà tolto l’obbligo del green pass per lavorare, non solo per i lavoratori del porto ma per tutte le categorie di lavoratori”. “Di fronte all’instabilità dovuta ai disordini ed all’incertezza sulla piena operatività del Porto, la merce sta già prendendo altre strade, verso altri porti europei”, avverte Confetra Friuli Venezia Giulia e, “per quanto possa essere importante il rispetto dei diritti dei singoli, la difesa degli stessi non può danneggiare l’intero sistema”.

Senza una soluzione, “rischiamo di fare un danno enorme, non soltanto all’economia della città ma anche a tutti quei lavoratori che con l’indotto del porto lavorano, e non solo nel porto”, ha detto il presidente della Regione Fvg Massimiliano Fedriga. La protesta rischia ora di estendersi da Trieste ad altri scali italiani. Le società di gestione al Porto di Palermo hanno già fatto sapere che non si faranno carico dei tamponi. A Livorno, invece, terzo porto italiano per tonnellate di merci movimentate nel 2019 (complessivamente quasi 37 milioni di tonnellate), l’offerta di tamponi gratis è stata rispedita al mittente. “L’unica apertura che possono avere nei nostri confronti è togliere il Green pass. Il blocco di venerdì è confermato, oggi ci saranno sorprese perché non si fermerà solo il porto di Trieste. Anche quello di Genova? Non mi fermerei a quello di Genova, quasi tutti i porti si fermeranno. Stasera ne avremo conferma”, ha avvertito il portavoce dei portuali di Trieste, Stefano Puzzer.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.