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Ha senso stimolare un’economia già in piena corsa?

Lukas Daalder, Chief Investment Officer di Robeco Investment Solutions, ritiene che Trump sembri non condividere il vecchio adagio secondo il quale i tetti si riparano quando splende il sole, ossia l’invito a sfruttare le dinamiche di crescita positiva per consolidare la propria posizione finanziaria. Quando il ciclo economico è in forte espansione, di solito i governi cercano di ridurre i loro disavanzi; tutti i Paesi dell’Eurozona sono intervenuti in questo senso sfruttando la ripresa del quadro economico. Viceversa, il deficit statunitense è salito dal punto minimo del 2,6% del PIL, registrato nel 2015 durante l’attuale fase espansiva, fino al 3,1% nel 2016 e al 3,4% nel 2017. Per effetto dei tagli fiscali, nel 2019 si prevede ora un’ulteriore crescita al 4,5% del deficit che, secondo altre istituzioni finanziarie, potrebbe anche raggiungere o superare il 5%.

Stimolare un’economia già a pieno regime non appare come una scelta molto sensata. Lo scopo dei tagli fiscali è accrescere la domanda di beni e servizi, che devono essere prodotti altrove. In un’economia che è già vicina ai suoi massimi, questa strategia potrebbe creare seri problemi. Il tasso di disoccupazione già alquanto basso solleva il dubbio che possa mancare la flessibilità necessaria a soddisfare un aumento della domanda. Stimolare un’economia già in piena corsa introduce il rischio di una spirale di prezzi e salari.

Esiste anche un’opzione meno dolorosa - spiega Lukas Daalder -. Beni e servizi si possono produrre fuori dagli Stati Uniti per essere importati, riducendo così il rischio di un surriscaldamento dell’economia domestica. È infatti la situazione che gli economisti definiscono spesso con l’espressione “Doppio deficit”: un deficit pubblico elevato (e in crescita) tende ad andare a braccetto con un disavanzo commerciale elevato (e in crescita).

Se una parte degli stimoli all’economia può effettivamente tradursi in un aumento della produzione domestica, un’altra parte può tuttavia “disperdersi” sui propri partner commerciali. Questo tasso di dispersione sarà naturalmente più elevato se l’economia domestica corre già ai massimi regimi. Quasi tutti gli esperti concordano nel ritenere molto probabile, nel quadro attuale, che un aumento del disavanzo pubblico favorisca un balzo del deficit delle partite correnti, le cui proporzioni rappresentano l’unica incognita rimasta.

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I recenti piani di Trump per introdurre dazi sulle importazioni di alluminio e acciaio infiammano ulteriormente l’economia - spiega Lukas Daalder -. Gli economisti ci dicono che aprire una guerra commerciale rappresenta una decisione sbagliata in ogni circostanza, ma farlo mentre si stimola un’economia che gira già quasi a pieno regime è dal punto di vista macroeconomico ancora più critico. Tagliando fuori i settori esterni come valvola di sfogo per alleviare le tensioni accumulatesi nell’economia domestica si finisce soltanto per esporre il sistema a maggiori rischi di surriscaldamento.

Salari più alti, già in fase crescente, e un’inflazione più elevata, legata in parte all’inasprimento dei dazi, costringeranno sicuramente la Fed ad innalzare i tassi con maggiore aggressività, annullando di conseguenza gli effetti dei tagli fiscali. Inoltre, tassi d’interesse e rendimenti obbligazionari più alti potrebbero in teoria innescare un forte rialzo del dollaro, a totale discapito degli Stati Uniti nel commercio internazionale.

Gli Stati Uniti vanno dunque verso il disastro economico? Non necessariamente - spiega Lukas Daalder -. è positivo che non sia stato ancora introdotto alcun dazio, e la teoria economica è per definizione solo questo: teoria. Per esempio, uno degli elementi di maggior incertezza che registriamo attualmente nei mercati finanziari è il costante indebolimento del dollaro, che compensa il continuo aumento del differenziale dei tassi d’interesse a favore degli Stati Uniti. Indica che tassi più elevati non portano necessariamente a un dollaro più forte.

Probabilmente, l’interrogativo principale riguarda l’effettivo raggiungimento di una piena o quasi piena capacità produttiva da parte dell’economia USA. Se fosse confermato, l’attuale mix di politiche economiche rappresenterebbe senza dubbio un errore di proporzioni storiche. In tal caso, la riparazione del tetto avrebbe rappresentato una scelta migliore.

Autore: Pierpaolo Molinengo Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online