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I cinque nemici-amici del rendimento

Sono cinque, sono interconnesse fra di loro ma, anche prese singolarmente, hanno lo stesso effetto: minacciano i rendimenti. Soprattutto di chi investe in azioni. Le variabili con cui gli investitori stanno imparando a fare i conti negli ultimi mesi sono: la Cina, i bassi tassi di interesse, la discesa del prezzo del petrolio (anche se recentemente ci sono stati dei tentativi di ripresa), la deflazione in Eurolandia e, più in generale, l’alta volatilità dei mercati. Ma, aggiungono gli analisti di Morningstar (NasdaqGS: MORN - notizie) , tutti questi elementi stanno anche creando opportunità di acquisto fra i titoli delle aziende di migliore qualità

Cina
Il problema che riguarda la Cina - e a catena i mercati finanziari – è il ribilanciamento della sua economia che sta passando da una crescita spinta dagli investimenti (anche pubblici) a una maggiormente basata sui consumi interni. Una scelta perseguita con decisione dal governo della prima economia emergente del mondo e che fa preoccupare gli investitori. L’esperienza dei paesi che sono passati da un’economia basata sugli investimenti a una guidata dai consumi, infatti, ha sempre mostrato un rallentamento della seconda voce. Il consensus parla di un aumento del Pil compreso fra il 5% e il 6% nei prossimi 10 anni (lontano dal +12% di qualche anno fa). Per gli economisti di Morningstar sarà compreso in una forchetta che va dall’1,5% al 4,5%. Colpa anche del calo delle esportazioni in seguito alla crisi economica in Europa.

A tutto questo si sommano elementi di più lungo periodo. Come ad esempio il fattore demografico: entro il 2030 il numero delle persone in età da lavoro scenderà a 43 milioni. Detta in un altro modo: entro quell’anno il paese asiatico avrà più pensionati dell’Unione europea, degli Stati Uniti e del Giappone messi insieme. Nel (Londra: 0E4Q.L - notizie) frattempo la crescita della popolazione urbana cinese si dimezzerà nel prossimo decennio. Il secondo fenomeno, in particolare, si è osservato in altri paesi ed è coinciso con un rallentamento del Pil. Un altro elemento è di tipo politico. I piani di stimolo messi in piedi da Pechino per dare una spinta alla crescita del paese mostrano che azioni come i tagli dei tassi di interesse e la riduzione delle riserve bancarie non hanno dato il risultato sperato. Insomma i mercati sono scettici sulla strategia del Governo. Anche perché ci sono due elementi conflittuali della politica cinese: da una parte si sente la necessità di fare grandi cambiamenti, dall’altra c’è sempre bisogno di avere stabilità e controllo per evitare di creare tensioni sociali che in un paese di 1,3 miliardi di persone non si sa quali conseguenze potrebbero avere.

Bassi tassi di interesse
La seconda variabile con cui hanno a che fare i mercati sono i bassi tassi di interesse, frutto delle manovre espansive attuate fino ad oggi dalle maggiori banche centrali. Il risultato è che i tradizionali porti sicuri come le obbligazioni governative, non sono più luoghi in cui conviene ripararsi. Basta dare un’occhiata agli yield. Il rendimento dell’US Treasury Bond a 10 anni è passato dal 2,2% (nel 2015) all’attuale 1,8%. Il rendimento è negativo per i bond governativi tedeschi a 2 e 5 anni, ed è intorno a quota zero 0 per i decennali. In Italia il rendimento del BoT a 12 mesi è inferiore all’1%. Mentre quello del BTp a 10 anni è sotto il 2%. C’è poi la contrazione degli spread dei corporate bond in Europa (rispetto ai pari-scadenza governativi) dopo che la Bce (Dusseldorf: BCE1.DU - notizie) è intervenuta sul mercato delle emissioni societarie con l’obiettivo di iniettare liquidità nel sistema.

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Petrolio
Il terzo elemento di cui tenere conto sui mercati è il petrolio ormai da mesi in caduta libera (a parte qualche apprezzabile rimbalzo). Colpa, soprattutto, dell’eccesso di offerta rispetto alla domanda. Sulla disponibilità di materia prima incide anche il potenziale di crescita della produzione di shale oil negli Usa. La richiesta, da parte sua, è depressa dal rallentamento della Cina. La conseguenza è che il segmento estrazione e produzione del comparto petrolifero è in rosso. In sostanza le compagnie petrolifere non riescono a produrre greggio a margini di profitto sufficienti e sono costrette a interrompe nuovi progetti di esplorazione. Questo peraltro crea anche qualche apprensione al comparto bancario, soprattutto a quegli istituti che sono esposti verso i produttori di oro nero.

Inflazione
Un altro elemento con cui cercano di destreggiarsi gli investitori è la bassa inflazione, soprattutto in Europa (ma non solo). Le cause qui sono diverse. Si va dall’alto tasso di disoccupazione (che in Eurolandia ha toccato il 12,2%), alle politiche fiscali restrittive che, per dirla con gli economisti, “mettono pressione sulla domanda interna”. Tutto questo, di fatto, più che compensa l’iniezione di liquidità della Bce (Toronto: BCE-PA.TO - notizie) . I risultati sono un ambiente difficile in cui muoversi in Borsa, una riduzione del potere d’acquisto, una diminuzione dei margini di profitto e un aumento del peso del debito.

Volatilità
Tutti questi elementi contribuiscono alla volatilità. Ma mentre il mercato Usa sembra essersi stabilizzato dopo il picco di fine febbraio, le Borse del Vecchio continente continuano ad andare a piccole ondate. Il resto lo fa una situazione geopolitica complicata, dove l’allerta terrorismo è alta e ogni attacco produce forti scossoni alle Borse. Inoltre, i mercati ragionano sulle probabilità e gli effetti di un’uscita del Regno Unito dall’Ue (il cosiddetto Brexit).

In uno scenario del genere gli analisti di Morningstar consigliano prudenza e una strategia selettiva. Magari guardando, oltre che ai rating all’Economic moat (il vantaggio competitivo). Anche perché, aggiungono, ci sono valutazioni interessanti sul mercato. “L’analisi del rapporto fra prezzo e fair value dell’universo di azioni a livello globale che copriamo indica un livello di 0,99”, spiega Susand Dziubinski. “In pratica, il mercato appare correttamente valutato. Andando più nel dettaglio, tuttavia, abbiamo notato che le aziende che non hanno moat sono in genere sopravvalutate del 3%. Al contrario, le società con un ampio vantaggio competitivo hanno un rapporto prezzo fair value di 0,94. In altre parole: mediamente le azioni di buona qualità hanno uno sconto del 6%”.