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Tra i due litiganti Marchionne paga

Le perplessità suscitate dalla deludente conferenza stampa di Trump hanno tenuto ieri in negativo gli indici USA, anche se la chiusura è stata assai lontana dai minimi di giornata, realizzati nelle prime due ore. Nulla muta pertanto nell’impostazione del mercato, che continua a lateralizzare per la mancanza di nuovi spunti rialzisti che vengono compensati dall’assenza di motivazioni per prendere sonoramente profitto. Al momento le forze in campo (rialzisti e ribassisti) sembrano in equilibrio e si attendono eventi in grado di romperlo a favore di una delle due squadre che si scontrano quotidianamente.

Oggi comincia ufficialmente la stagione delle trimestrali societarie relative all’ultimo periodo del 2016, quelle che alzeranno il velo sui risultati dell’intero anno passato. Si comincia con le banche, dato che Alcoa (TLO: AA.TI - notizie) , dopo lo smembramento, ha perso la caratteristica di essere il primo big a presentare i conti, proprio perché non è più un big. Saranno perciò Bank of America (Swiss: BAC-USD.SW - notizie) , JP Morgan, Wells Fargo (Swiss: WFC-USD.SW - notizie) ad aprire le danze dei conti. Da questa danza, che durerà le prossime 3 settimane, potranno venire indicazioni di tendenza che si aggiungeranno alle prime decisioni operative di Trump, dopo che il 20 gennaio avrà ricevuto da Obama le chiavi della Casa Bianca e vi si installerà.

Le borse europee hanno confermato anche ieri la fine del momento magico, che a dicembre le aveva caratterizzate come mercati dotati di forza rialzista superiore a quella delle borse USA.

Ieri, grazie anche alla debolezza iniziale di Wall Street, hanno chiuso con un calo abbastanza significativo, anche se non drammatico, dimostrando comunque di non avere più molta benzina da bruciare per salire.

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Il nostro Ftse-Mib è stato il peggior indice di giornata, perdendo -1,69%, trascinato giù dal settore bancario, che fatica a digerire l’aumento di capitale di Unicredit (EUREX: DE000A163206.EX - notizie) da 13 miliardi, approvato ieri dall’Assemblea dei soci. Si tratta della più grande operazione di ricapitalizzazione mai varata in Italia e tra le più grandi d’Europa. Si mormora che le nuova azioni verranno offerte a forte sconto (30 – 40%) e l’eventualità viene confermata anche dal fatto che l’assemblea ha deliberato il raggruppamento delle azioni (10 vecchie per 1 nuova), che verrà fatto entro il 23 gennaio, prima di procedere all’aumento, che dovrebbe partire il 13 febbraio. Oltre alle incognite su Unicredit il mercato pare infastidito dalle continue e francamente stucchevoli attestazioni quotidiane di fiducia nella solidità del settore da parte del ministro Padoan, che non la smette di affermare, ogni volta che apre bocca, che le banche italiane non hanno problemi, quando il mercato ci ha già ampiamente dimostrato il contrario, obbligando lo Stato ad accantonare 20 miliardi (per ora) per salvarne qualcuna.

In questi casi il silenzio sarebbe forse più apprezzato.

Ha fatto eccezione, nel comparto bancario, il forte rialzo di Banca UBI, beneficiata dall’acquisto dal Fondo Atlante, per 1 euro simbolico, di 3 delle 4 “good banks” salvate a fine 2015, che costarono all’allora Ministro Maria Elena Boschi la caduta dalle grazie degli italiani. Secondo i manager di UBI (Taiwan OTC: 6562.TWO - notizie) l’acquisizione permetterà di aumentare di un quinto l’attuale quota di mercato della banca e porterà in dote agli acquirenti un credito fiscale di 600 miliardi, da usare nei prossimi 5 anni. Si comprende perciò il motivo del balzo delle quotazioni di UBI (+9%), nonostante la giornata storta della Borsa Italiana. Tuttavia in queste condizioni diventa assai meno facile capire il motivo del prezzo simbolico di 1 euro, dato che il sistema bancario nel suo complesso, attraverso il fondo interbancario di risoluzione ed Atlante, si accolla circa 4 miliardi di perdite.

Ad oscurare l’umore degli operatori ha contribuito anche molto la notizia, arrivata all’apertura delle borse USA, della messa in stato d’accusa di Fiat Chrysler da parte della EPA, l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente USA, per la vendita di circa 100.000 diesel con dispositivo di controllo delle emissioni truccato. Un mini-scandalo dieselgate, anche se di proporzioni infinitamente minori rispetto a quello che coinvolse Volkswagen (Xetra: 766400 - notizie) (11 milioni di veicoli nel mondo) e che si è chiuso proprio in questi giorni con un ammontare complessivo di sanzioni per 19 miliardi di dollari.

Più che l’entità del guaio, è stata la sorpresa e l’effetto d’immagine a causare il fuggi fuggi degli investitori, provocando sospensioni a raffica ed un calo finale di oltre il 16% per il titolo, con un minimo di seduta realizzato a 8,33 euro.

In un solo pomeriggio FCA ha bruciato ben metà del poderoso rally che ha cavalcato dalla vittoria di Trump fino a ieri mattina, che l’aveva portata quasi a raddoppiare la propria quotazione (da 6,24 a 10,68) in soli due mesi. E’ stato forse proprio questo eccesso esagerato di ottimismo ad ingigantire le dimensioni del capitombolo. Oggi credo che verrà un po’ ridimensionato. Del resto Marchionne ha confidato, abbastanza esplicitamente, che conta di risolvere tutto con la nuova amministrazione Trump, che sappiamo essere di manica molto più larga sull’inquinamento. Ma la botta non sarà comunque facile da assorbire rapidamente.

Autore: Pierluigi Gerbino Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online