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Il blocco di Facebook non è un problema di Zuckerberg. È un problema nostro

SUN VALLEY, IDAHO - JULY 08: CEO of Facebook Mark Zuckerberg walks with COO of Facebook Sheryl Sandberg after a session at the Allen & Company Sun Valley Conference on July 08, 2021 in Sun Valley, Idaho. After a year hiatus due to the COVID-19 pandemic, the world’s most wealthy and powerful businesspeople from the media, finance, and technology worlds will converge at the Sun Valley Resort for the exclusive week-long conference. (Photo by Kevin Dietsch/Getty Images) (Photo: Kevin Dietsch via Getty Images)

“Hello literally everyone”, in questa frase che ha raccolto 2.4 milioni di like in poche ore, Twitter ha sintetizzato la giornata di ieri. Per alcune ore Facebook è scomparso da Internet e dalle nostre vite. Tutte le app del colosso di Menlo Park hanno smesso di funzionare e sono rimaste inaccessibili, sbattendoci in faccia quanto sia fragile l’equilibrio creato dalle grandi multinazionali del Tech. Tre miliardi e mezzo di persone, quasi metà della popolazione mondiale, usano Facebook, Whatsapp, Instagram per comunicare con amici e familiari, per guadagnare, distribuire messaggi politici, espandere le proprie attività attraverso la pubblicità e la divulgazione. E ieri non lo hanno fatto.

Il blackout ha evidenziato la fragilità del sistema creato da Facebook. Lo usiamo anche per accedere a molte app, basti pensare ai siti Web di shopping, o le smart TV, ai termostati e agli altri dispositivi connessi a Internet. In Italia per esempio il “down” si è abbattuto sulle elezioni amministrative, politici, giornali ed elettori hanno usato solo la tv e i giornali online per informarsi, niente social. Ma per capire quanto l’impatto abbia riguardato soprattutto chi lo usa dobbiamo guardare a paesi come il Brasile, il Myanmar e l’India, dove Facebook è addirittura sinonimo di Internet. Gli indiani, ad esempio, usano WhatsApp per telefonarsi, ma anche come strumento di pagamento. E spesso per veicolare informazioni. Qui l’impatto è stato notevole.

Alla fine tutto è tornato come prima in poche ore. Mark Zuckerberg ha scritto sul proprio profilo un paio di righe: “Scusate per l’interruzione, sappiamo quante persone fanno affidamento sui nostri servizi per restare connesse”. Il vicepresidente delle infrastrutture di Facebook, Santosh Janardhan, ha spiegato in un post che il blackout mondiale è stato provocato da modifiche alla configurazione dei router che coordinano il traffico di rete tra i suoi centri dati. “Questa interruzione del traffico di rete ha avuto un effetto a cascata sul modo in cui comunicano i nostri centri dati, bloccando i nostri servizi”. E il blackout mondiale è già storia. Esattamente come lo sono quelli del 19 marzo 2020 e del marzo 2019, con un record di 14 ore di stop per le applicazioni.

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Problemi tecnici a parte, quello che questo “down” ha messo in evidenza è la nostra dipendenza dal mondo creato da Zuckerberg. L’effetto domino che si è creato ha mandato in tilt il nostro mondo, le nostre relazioni, il nostro lavoro. Adrienne LaFrance, direttore esecutivo di The Atlantic per anni ha seguito le vicende del colosso di Menlo Park, e ha scritto: “Il web non è solo fragile; è del tutto effimero. Otteniamo un falso senso di permanenza da questi giganti della tecnologia in piattaforme chiuse. Ma la verità è che nulla dura online e tutto decade continuamente. L’interruzione di oggi è sicuramente un promemoria di quanto Facebook possiede Internet. Ma Facebook è molto più una minaccia per la democrazia e per l’umanità quando è online che quando è spento”.

Il “blackout” di questo 5 ottobre 2021 è un segno di debolezza del mondo digitale. Che ha avuto anche ripercussioni finanziarie. L’agenzia Bloomberg stima che la perdita economica a livello mondiale sia stata di 160 milioni di dollari per ogni ora di interruzione della connessione digitale. Il titolo di Facebook invece, già affossato dai “Facebook Files” ovvero dalle rivelazioni della ex dipendente che ha parlato con il Wall Street Journal, è andato sotto pressione alla Borsa di New York con le azioni che hanno chiuso con un ribasso del 4,89%. Il titolo è sceso fino a 322,70 dollari per chiudere a 326,72 dollari, a circa il 15% dal suo record. Zuck a Wall Street ha perso qualcosa come 7 miliardi di dollari.

Verrebbe da dire “Facebook è nei guai ma anche noi non ce la passiamo molto bene”. Il down ci ha dimostrato che siamo legati a doppio filo alle sorti del colosso di Menlo Park. Kevin Roose in una lunga analisi sul New York Times scrive:

Facebook è nei guai. Non per problemi finanziari, o legali, neanche per i senatori che urlano contro Mark Zuckerberg. Quello di cui sto parlando è una sorta di declino lento e costante che chiunque abbia mai visto da vicino un’azienda morente può riconoscere. È una nuvola di terrore esistenziale che incombe su un’organizzazione i cui giorni migliori sono alle spalle (...). Questo tipo di declino non è necessariamente visibile dall’esterno, ma gli addetti ai lavori ne vedono ogni giorno centinaia di piccoli e inquietanti segni: trucchi per crescere ostili all’utente, perni frenetici, paranoia dirigenziale, il graduale logoramento di colleghi di talento.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.