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"Il caro bollette ha già bruciato 2 miliardi. Si rischia il blocco delle imprese"

Closeup of business doors with closed sign (Photo: Rengim Mutevellioglu via Getty Images)
Closeup of business doors with closed sign (Photo: Rengim Mutevellioglu via Getty Images)

Hanno programmato di fermare la produzione per almeno venti giorni a gennaio e febbraio. Soprattutto - segnala Confindustria - quelle dei settori a maggiore intensità energetica: le fonderie, le acciaierie, le cartiere, le aziende chimiche, ancora quelle che lavorano la ceramica, il vetro e il cemento. In tutto impiegano circa 430mila lavoratori, che salgono a 800mila se si prende in considerazione l’indotto. Il calcolo di quante sono le imprese che hanno calendarizzato la chiusura al 23 dicembre è in via di definizione, ma Alessandro Fontana, direttore del Centro studi di viale dell’Astronomia, anticipa a Huffpost qual è il rischio immediato: bruciare 2 miliardi di valore aggiunto. E se teniamo conto di quelle che hanno programmato chiusure dal 23 dicembre a oggi, il rischio è ben superiore.

Direttore, dove porta il trend delle chiusure delle imprese?

Siamo in una tempesta quasi perfetta. Il problema principale è costituito dai prezzi dell’energia: se non si interviene il prima possibile, il rischio è quello di un blocco totale.

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Perché?

L’incidenza del costo dell’energia sulle imprese è molto più elevata rispetto a quella che riguarda il bilancio delle famiglie. L’aumento dei costi si unisce alla domanda che resta compressa a causa del Covid: questi due elementi stanno già portando alle chiusure temporanee delle imprese, che ci aspettiamo aumenteranno nei prossimi mesi.

Come si sta articolando il caro energia?

L’inflazione, che ha un tendenziale del 3,9%, in realtà è all′1,4% al netto degli energetici e degli alimentari. Parliamo del livello più basso in Europa, ma le imprese hanno ridotto i propri margini per mantenere i prezzi al consumo bassi. Negli ultimi mesi del 2021 c’è stata un’escalation dei prezzi dell’energia, per quello del gas siamo a un livello quasi sei volte più alto rispetto all’inizio della pandemia. Così la situazione non è sostenibile per le imprese e la ripresa è a serio rischio.

Non ha nominato i contagi in aumento. Non sono un problema?

Lo sono, ma la questione energetica oggi ha un impatto diretto sulla sofferenza delle imprese e rischia di determinare chiusure irreversibili. Certo è che se i contagi dovessero aumentare ancora o mantenersi sui livelli elevati di queste settimane, la situazione rischia di precipitare ulteriormente perché rallenterebbe anche la domanda delle famiglie, soprattutto di servizi. Non dobbiamo dimenticare che oltre alla pandemia, le nostre imprese devono fare conti con altri elementi che destano grande preoccupazione.

Quali?

Sono fondamentalmente tre: la scarsità di materiali e di materie prime, l’aumento dei prezzi delle commodity, in particolare quelli dell’energia, e la carenza di manodopera.

Iniziamo dal primo.

La scarsità di materiali e materie prime si era registrata già all’inizio del 2021 e si è poi acuita nella seconda metà dell’anno scorso e fino a qualche mese rappresentava il principale ostacolo alla produzione. Poi ci sono i rincari delle commodity che le imprese, seppure a fatica, stavano gestendo. Ci sono interi settori che sono stati messi in ginocchio se si pensa che in due anni (dicembre 2021 sullo stesso mese del 2019 ndr) il prezzo dei metalli è aumentato del 60%, quello dei cereali del 30%, il rame e il cotone del 67%. Ma i rincari dell’energia colpiscono tutti i settori trasversalmente.

E siamo di nuovo al caro energia. Può intaccare la crescita del Pil, stimata dal Governo, ma anche dalle principali organizzazioni economiche, sopra il 4% quest’anno?

Prezzi così alti non sono sostenibili nel lungo periodo. Se vanno avanti così per tutto all’anno, non arriviamo neppure all′1 per cento.

Se invece i prezzi dovessero abbassarsi prima, l’obiettivo resterebbe comunque in bilico?

Sì, qualche effetto ce l’avremo sicuramente. Confindustria aveva stimato una crescita superiore al 4%, Bankitalia prima di Natale stimava il 4%, ma queste stime ora ballano.

Il terzo elemento che preme sulle imprese è la carenza di manodopera. Quanto peso ha nella decisione di un imprenditore di chiudere temporaneamente la propria attività?

Il problema perdura dall’anno scorso, ma il numero dei contagi e quello delle quarantene l’ha accresciuto. Alcuni settori, come i trasporti, ne stanno risentendo già adesso in modo importante. È un ulteriore freno alla ripresa e all’attività produttiva.

Chi paga il conto di questo momento difficile?

L’aumento dei contagi pesa soprattutto sui servizi, in particolare il turismo, con una spesa che nella parte finale del 2021 non è andata affatto come ci si aspettava. Non ci aspettiamo dei buoni risultati neppure dalla produzione industriale di dicembre. I dati stanno andando in negativo.

Perché?

Gli investimenti nelle costruzioni stanno rischiando di rallentare sensibilmente.
Le previsioni che arrivano dalle imprese del settore dicono che il problema principale è la forte carenza di materiale nonostante la domanda robusta. Si rischia di inficiare il trend positivo che l’anno scorso aveva fatto registrare un incremento degli investimenti di oltre il 22% rispetto al livello pre Covid.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.