Il Fisco italiano è peggiore di quello del Vietnam
Il Fisco italiano? E’ più semplice quello della Vietnam o dell’India. E’ quanto emerge dai risultati del Fianancial Complexity Index 2017, redatto da Tmf Group, una rassegna di 94 ordinamenti fiscali nazionali tra Europa, Medio Oriente, Africa, Asia e Americhe. Se la passano peggio i turchi perché, sempre secondo il colosso internazionale per i servizi di consulenza fiscale e assicurativa, la Turchia è il Paese con la giurisdizione più complessa. A seguire il Brasile e al terzo posto l’Italia, appunto.
In quarta posizione troviamo la Grecia, il Vietnam, la Colombia, la Cina, il Belgio, l’Argentina e l’India. Troppi scaglioni, ecco qual è il problema. Il vero problema secondo Tmf è la dispersione dei livelli impositivi. Nel nostro Paese le imposte si differenziano tra statali, regionali e comunali. La complessità del nostro sistema fiscale riguarda anche la lingua. Un’impresa straniera, ad esempio, è costretta a tradurre il bilancio prima di depositarlo. Un altro limite è quello di esporre i rendiconti esclusivamente in euro.
Oltre che pagare troppe tasse, in Italia, è anche complicato riuscire a fare i conti con il Fisco. Per assolvere gli obblighi tributari si perde un sacco di tempo. Numerosi gruppi stranieri che operano in Italia hanno preso l’abitudine di rivolgersi preventivamente a uno studio legale affinché siano gli avvocati a mettersi d’accordo con l’Agenzia delle Entrate sul tipo di regime fiscale.
La scorsa settimana la Cna ha misurato il total tax rate medio delle pmi, evidenziando come in Italia, nel 2016, si sia attestato al 60,9 per cento e come quest’anno possa salire ulteriormente al 61,2 per cento a meno che non si scelga il regime della nuova Iri, ovvero la flat tax per le aziende. Facendo due conti, gli imprenditori lavorano fino al 10 agosto per il fisco e solo dal giorno successivo possono cominciare a fare profitti. Magari saltando pure le vacanze al mare.