Annuncio pubblicitario
Italia markets open in 1 hour 3 minutes
  • Dow Jones

    38.790,43
    +75,63 (+0,20%)
     
  • Nasdaq

    16.103,45
    +130,25 (+0,82%)
     
  • Nikkei 225

    40.003,60
    +263,20 (+0,66%)
     
  • EUR/USD

    1,0871
    -0,0006 (-0,05%)
     
  • Bitcoin EUR

    59.742,64
    -3.278,97 (-5,20%)
     
  • CMC Crypto 200

    885,54
    0,00 (0,00%)
     
  • HANG SENG

    16.536,70
    -200,40 (-1,20%)
     
  • S&P 500

    5.149,42
    +32,33 (+0,63%)
     

Il flop degli ipermercati: è finita un'epoca?

Cassiere in un ipermercato
Cassiere in un ipermercato

La tipica controtendenza italiana. In questo periodo - indeterminato - di crisi economica, la logica impone (o imporrebbe) che il consumatore vada a far spesa negli ipermercati, dove la varietà di prodotti e la scelta delle marche crei quel meccanismo chiamato concorrenza, portando il prezzo dei prodotti al ribasso, per l'interesse del cliente. Per dirla più semplicemente, far spesa negli ipermercati garantisce una scelta più ampia rispetto ad una bottega, con prezzi più bassi. Questo significherebbe un successo di questi centri commerciali. E invece no.

Un'inchiesta di Repubblica ha evidenziato come la crisi economica degli ultimi anni abbia attaccato proprio queste catene: fiorite come funghi tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi dei  Novanta, oggi questi mega blocchi di cemento si trovano a una decina di metri l'una dall'altra, a farsi una guerra spietata a caccia dell'offerta più stracciata per accaparrarsi un cliente. Perchè qui, a differenza del piccolo negozietto sotto casa, la fidelizzazione non esiste.

Per capire quello che stiamo raccontando, basta fare un salto nel Veneto, nel cosidetto "triangolo della merce”:  Mestre, Marghera e Marcon, in quest'area sorgono a meno di duecento metri quattro enormi centri commerciali e una cinquantina di megastore, ognuno con gli stessi prodotti e con incassi davvero irrisori: qui, nel giro di un paio d'anni, l’utile netto è sceso sotto lo zero.

ANNUNCIO PUBBLICITARIO

La grande distribuzione, il modello del centro commerciale è in crisi, lo dicono gli scaffali vuoti, le casse chiuse e i corridoi desolati. Un nome a caso: Auchan. Dal 2010 al 2014 il suo giro di affari in Italia si è ridotto da 3,2 miliardi a 2,6 miliardi di euro. Motivo? La contrazione dei consumi, l’attacco dei punti vendita 'non food', l’esplosione degli hard discount e la diffusione della spesa via Internet. E soprattutto, troppi, ma davvero troppi punti vendita. Su una percentuale di consumatori che è comunque sempre la stessa, se non minore.

Addio alla massificazione della merce, l'italiano oggi ha pochi soldi e li investe su prodotti che abbiano qualità e prezzo direttamente proporzionali, preferiscono il chilometro zero, la vendita diretta, il gruppo d'acquisto, ritornano nella bottega che hanno abbandonato 20 anni fa. A discapito dell'iperstore, che soffre e vede le vendite ridursi anno dopo anno, eccezion fatta dei momenti di grandi offerte, dove la corsa alla convenienza è una gara ad ostacoli. Quando la crisi si fa seria, non si chiude ma si cambia marchio, oppure si pensa ad ingrandire gli spazi già enormi: punti wi-fi, punti di incontro, per trasformare il centro commerciale in un luogo dove conoscersi e socializzare, quantomeno.