Il futuro dell'operaio tessile italiano dipende dal turista giapponese

L’operaio che lavora in una delle settemila imprese del distretto tessile di Prato spera in un’estate piena di turisti stranieri. Sono loro che possono salvare il suo posto di lavoro e quello di altri 140mila colleghi che come lui rischiano dal primo luglio, quando i licenziamenti torneranno liberi nelle grandi imprese. Cosa c’entra l’operaio con il turista giapponese è facilmente intuibile: il primo fa i filati che diventeranno gli abiti dei grandi marchi, il secondo comprerà quei vestiti. È il turismo il segmento che acquista i beni di lusso della moda, a loro volta il core business dell’intero settore. Ma questo incastro, solitamente foriero di incassi e di posti di lavoro, oggi è invece una delle ragioni che rendono il tessile-abbigliamento il settore più fragile dell’economia del Paese. Non sarà un’estate di massa e per questo quella dell’operaio di Prato sarà un’estate di resistenza.
Quanto il tessile-abbigliamento dipende dal turismo, tra l’altro, l’ha reso evidente la pandemia. In negativo. E questo è il secondo elemento che spiega perché il settore è finito in fondo alla classifica del rimbalzo in positivo. Questa volta la prospettiva è quella degli italiani che viaggiano. Il lockdown ha fermato treni e aerei e così le vendite delle valigie - un altro comparto di un sistema che tiene dentro il tessile-abbigliamento, le calzature, la pelletteria, le conce e gli occhiali - sono crollate. Ancora - terzo elemento della crisi - il settore ha sofferto di un altro effetto collaterale del Covid e cioè l’utilizzo bulgaro dello smart working: in pochi hanno comprato giacche e cravatte dato che le riunioni si sono fatte e continuano in parte a farsi su Zoom. I negozi chiusi, più in generale le restrizioni per la mobilità, hanno fatto crollare le vendite delle scarpe anche del 90...
Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.