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Il Green Pass possibile nelle condizioni date

Italian Prime Minister Mario Draghi attends a joint news conference with European Commission President Ursula von der Leyen (not pictured), in Rome, Italy, June 22, 2021. REUTERS/Remo Casilli (Photo: Remo Casilli via Reuters)
Italian Prime Minister Mario Draghi attends a joint news conference with European Commission President Ursula von der Leyen (not pictured), in Rome, Italy, June 22, 2021. REUTERS/Remo Casilli (Photo: Remo Casilli via Reuters)

E dunque, nel gioco del “chi ha vinto”, “chi ha perso”, quale è il punto di caduta, alla fine viene esteso il green pass, misura bollata come liberticida da Salvini, che sul tema soffre, e non poco, gli ululati della Meloni, più forti dei suoi, e le contraddizioni di un partito bifronte, pragmatico coi governatori, ideologico con i parlamentari nelle piazze no vax. Però, e non è un dettaglio, il green pass viene esteso in misura minore rispetto alle aspettative suscitate nella conferenza stampa decisionista di Mario Draghi, sia rispetto al “quando” entrerà in vigore sia rispetto al “dove”. Rispetto ad allora è scomparsa dall’agenda, o quantomeno è stata rinviata, anche la discussione sull’obbligatorietà dei vaccini per alcune categorie, come gli insegnanti.

Il combinato disposto delle due cose dà il senso di una mediazione, di cui forse fa parte anche l’assenza della conferenza del premier, che dà il senso di un passaggio non straordinario, ma presentato dai ministri competenti come l’aggiornamento di un work in progress: il risultato è un punto di equilibrio “più avanzato”, ma sempre nelle condizioni date. Non è poco ciò che Salvini subisce e che lo espone alla feroce competizione sulla sua destra e all’immagine complessiva di un cedimento rispetto a slogan e atteggiamenti a cui si è appeso. Ma non è di poco conto neanche la faticosa gradualità che il leader leghista può rivendicare. Insomma, non c’è la forzatura annunciata da parte di Draghi che, alla vigilia dei due passaggi cruciali delle ultime due settimane – giustizia e green pass – aveva dato il senso di una drammatizzazione, ponendo la questione in termini estremi: “un appello a non vaccinarsi è un appello a morire”, aveva detto, e dunque tutto ciò che rallenta l’induzione al vaccino è un sinistro cedimento.

Proprio il rovesciamento delle priorità – il varo dei provvedimenti sull’emergenza sanitaria dopo la riforma della giustizia – e gli esiti dei due dossier – la mediazione sul primo con i Cinque stelle, che avevano presentato oltre novecento emendamenti e sul secondo con la Lega, che ha presentato oltre novecento emendamenti – fotografa un cambio di fase, rispetto ai primi sei mesi del governo. La fase del “c’è Draghi, arrivato sul collasso dei partiti, che decide, in virtù di questo dato strutturale e del surplus di autorevolezza personale, e ci sono i partiti con le loro bandierine, che non possono che accettare” si è chiusa.

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Adesso c’è Draghi, il cui governo non è e non sarà in discussione, per le stesse ragioni, ma sullo stesso governo incombe il rischio della trattativa permanente, come accaduto su entrambi i dossier. Trattativa che ci fu assai meno quando il premier tirò dritto qualche mese fa, anche di fronte all’astensione dei ministri leghisti in cdm. Era forse inevitabile che il semestre bianco rafforzasse gli elementi di precarietà e le difficoltà di gestione. Lo è diventato ancora di più anteponendo la discussione sulla giustizia alle misure sulla pandemia, perché in questo modo il passaggio è stato presentato come “ordinario” e non come una battaglia campale, in nome dell’emergenza su cui far valere un “decido io” nel rapporto diretto col paese. Proprio il superamento delle colonne d’Ercole della trattativa sulla Giustizia, peraltro approvata solo in un ramo del Parlamento e non in via definitiva – il che avrebbe dato il senso di una uguale urgenza - ha legittimato i margini di manovra di Salvini, per la serie “perché con quelli si può trattare e con me no?”. E d’ora in poi sarà sempre così, perché il semestre bianco sgombra il campo dall’eventualità di una crisi fuori controllo. Sta cioè venendo fuori l’elemento della prevalenza politica del governo e, con esso, la valutazione realistica dei rapporti di forza. Che è questione ancor più di fondo. Realismo, per Draghi, è consapevolezza che col centrodestra e con Salvini non può rompere, per ragioni che attengono all’eventualità della prospettiva quirinalizia – in un eventuale voto di Draghi al Colle è più affidabile Salvini o Conte? – sia più in generale alla tenuta del quadro politico.

Perché, al netto della pancetta ostentata al Papeete, delle rumorose dirette facebook e di qualche sceneggiata, la sostanza è che Salvini sul governo sta tenendo. Per ora si sta facendo carico dell’enorme dossier immigrazione, il vero tallone d’Achille del governo, di cui al momento non parla nessuno, nemmeno i giornali di destra per non mettere in difficoltà il leader leghista. Ma è squadernato, come rivelano, solo negli ultimi tre giorni, i viaggi libici di Di Maio e della Lamorgese in Libia o il colloquio telefonico di Draghi col presidente della Repubblica Tunisina Kais Saied. Immaginate, per avere la controprova, se Salvini fosse stato all’opposizione (o al Viminale) di fronte all’impetuosa ripresa degli sbarchi in atto. Fino a quando possa reggere solo con l’attivismo di bandiera e fino a quando il governo potrà permettersi a una “non scelta” rispetto all’impianto seguito finora è il quesito attorno a cui prende forma il vero fusibile del sistema. Che suggerisce, come sul green pass, operazioni di equilibrio e sconsiglia posizioni radicali verso la Lega. È politica, allo stato puro.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.

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