Annuncio pubblicitario
Italia markets close in 7 hours 28 minutes
  • FTSE MIB

    33.393,69
    -560,59 (-1,65%)
     
  • Dow Jones

    37.735,11
    -248,13 (-0,65%)
     
  • Nasdaq

    15.885,02
    -290,08 (-1,79%)
     
  • Nikkei 225

    38.471,20
    -761,60 (-1,94%)
     
  • Petrolio

    85,48
    +0,07 (+0,08%)
     
  • Bitcoin EUR

    59.842,12
    -2.672,75 (-4,28%)
     
  • CMC Crypto 200

    885,54
    0,00 (0,00%)
     
  • Oro

    2.386,10
    +3,10 (+0,13%)
     
  • EUR/USD

    1,0621
    -0,0005 (-0,04%)
     
  • S&P 500

    5.061,82
    -61,59 (-1,20%)
     
  • HANG SENG

    16.246,91
    -353,55 (-2,13%)
     
  • Euro Stoxx 50

    4.911,93
    -72,55 (-1,46%)
     
  • EUR/GBP

    0,8538
    +0,0003 (+0,03%)
     
  • EUR/CHF

    0,9683
    -0,0002 (-0,02%)
     
  • EUR/CAD

    1,4651
    +0,0007 (+0,05%)
     

Il patto Governo-sindacati-imprese ormai è saltato

.. (Photo: ..)
.. (Photo: ..)

La traccia politica delle ultime ore sul decreto anti delocalizzazioni registra il tentativo del Pd e dei 5 stelle di salvare le norme dalla discussione sulla logica punitiva sollevata a gran voce dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Se il metodo - sterilizzare il testo eliminando i passaggi più controversi (multe e black list) senza snaturarne il senso - è quello giusto lo dirà l’esito del confronto dentro la maggioranza che al momento è spaccata. Quella delle divisioni e delle bandierine, ancora del rapporto tra la politica e il mondo produttivo che genera Pil ma anche voti, è però una visione parziale di una questione molto più grande e soprattutto più scivolosa. È tirare su la fase 2 del lavoro, non solo affossato dal Covid ma anche da problemi governati male e ora riesplosi, come la gestione delle crisi industriali, e da quesiti inediti, a iniziare dalla riconversione di un pezzo dello stesso mondo del lavoro in chiave Recovery.

La portata di questo impegno ha diverse sfaccettature e approfondirle tutte sarebbe illusorio. Ma già metterle in fila può forse aiutare a spiegare perché quella delle delocalizzazioni è qualcosa di assai più serio dello scontro, molto spesso caricaturale e semplicistico, tra la sinistra che prova a riagganciare i lavoratori e gli imprenditori che rifiutano l’intervento dello Stato quando si tratta di accompagnare alcuni passaggi cruciali come i licenziamenti.

1) La prima appendice ha origine dal contenuto stesso del decreto. Fino a che punto lo Stato può dettare il ritmo dell’organizzazione dell’attività privata? La bozza del provvedimento indica tutta una serie di azioni che l’impresa è chiamata ad assolvere se decide di chiudere e di lasciare l’Italia per ragioni che non hanno a che fare con squilibri di natura economica tali da rendere probabile una crisi o un’insolvenza. In quello che viene indicato come il “Piano di mitigazione delle ricadute occupazionali ed economiche connesse alla chiusura” dovrà indicare non solo le possibili azioni per la ricollocazione dei lavoratori licenziati in un’altra impresa, ma anche quelle che hanno a che fare con i servizi di orientamento, l’assistenza alla ricollocazione, alla formazione e riqualificazione professionale finalizzati alla rioccupazione o all’autoimpiego. L’equilibrio che andrà costruito è quello tra la libertà di impresa e la responsabilità sociale della stessa attività privata. Iniziando a capire se anche lo strumento - una legge - è quello idoneo per provare a entrare nel processo di gestione dei licenziamenti.

ANNUNCIO PUBBLICITARIO

2) Da questa questione se ne genera un’altra: il perimetro dell’intervento dello Stato. Durante la pandemia si è allargato a dismisura: 6,1 miliardi di ore di cassa integrazione Covid autorizzate dall’Inps tra il primo aprile del 2020 e il 31 luglio di quest’anno spiegano bene come sia stato l’intervento pubblico a tenere in piedi milioni di posti di lavoro e ad attenuare l’emorragia delle uscite. Nel conto vanno messi i soldi che lo Stato, e non solo recentemente, ha dato alle imprese. Anche a quelle, come Whirlpool, che ne hanno incassati parecchi a fronte di cessazioni di attività e disimpegni che hanno bruciato l’investimento pubblico e lavoro. Al netto di una recrudescenza della pandemia, l’ombrello pubblico della cassa integrazione è destinato a rimpicciolirsi (a luglio le ore autorizzate dall’Inps sono state 170 milioni, il valore più basso dall’inizio della pandemia). Ma sul lungo periodo la riforma degli ammortizzatori sociali che il Governo, sotto impulso del Pd, sta costruendo va nella direzione opposta e cioè curare il mondo del lavoro con la ricetta della cassa integrazione. Una scelta che da una parte allunga la strategia degli ultimi dieci anni, ma che come ha messo ben in evidenza su questo giornale l’economista Andrea Garnero non affronta le criticità in modo organico. Tra l’altro una parte dell’esecutivo(leggere Lega) vuole rompere la logica del sussidio per le imprese decotte e per i relativi posti di lavoro che non hanno una prospettiva. Ma al di là delle questioni di contenuto, quella che andrà configurata è la direzione dell’intervento dello Stato in relazione all’impresa. Il decreto sposta il baricentro dal sussidio alle politiche attive, il corno malato del mercato del lavoro. In che misura l’impresa diventa costruttrice del percorso di ricollocazione del lavoratore? E, allo stesso tempo, in quale misura lo Stato derogherebbe al ruolo di indirizzo e di messa a terra delle politiche attive? Da entrambe le parti - Governo e imprese - il sospetto è che possa configurarsi come uno scaricabile reciproco.

3) A fare da cornice a queste questioni sono le relazioni tra il Governo e le parti sociali. La discussione sulla proroga del blocco dei licenziamenti è stata animata per settimane e poi risolta con un avviso comune che però si è rivelato aleatorio. D’altronde la stessa natura dell’intesa siglata a palazzo Chigi tra il Governo, i sindacati e Confindustria faceva intravedere fin da subito la precarietà dell’accordo stesso perché prevedere un impegno, e non un obbligo, a utilizzare 13 settimane di cassa integrazione invece di licenziare apre un margine di discrezionalità che sfugge ai singoli interessi delle parti. I licenziamenti selvaggi alla Gianetti Ruote e alla Gkn hanno rotto il patto sociale dopo neppure dieci giorni dalla firma del documento. La frattura sui licenziamenti non si è ricomposta e ora il decreto anti delocalizzazioni la rilancia. Quella di Draghi sarà una missione molto difficile perché la posta in gioco si è alzata. Il decreto contro la fuga delle multinazionali dall’Italia entra nella carne delle relazioni industriali e del mondo del lavoro. A fronte di cambiamenti avvenuti e non compresi dalla politica, ma anche in vista della transizione ecologica e digitale che ha nella pancia un prezzo salato, servirà qualcosa di più di una legge per governare il mercato del lavoro.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.