Il Pd fa la mossa sui licenziamenti ma non c'è intesa. Spiragli solo sul tessile

La mossa per costruire “l’accordo di tutti” che Mario Draghi vuole per cambiare lo schema sui licenziamenti la fa il Pd. Con due emendamenti e già la doppia opzione è un indizio che spiega bene la complessità di una mediazione chiamata a tirare dentro non solo tutte le anime della maggioranza, ma anche i sindacati e Confindustria. Il tentativo non va a buon fine: sulla proroga del blocco fino a fine ottobre solo per il tessile e l’abbigliamento sono quasi tutti d’accordo, ma per la Cgil è troppo poco. L’altra strada - lo stop allungato fino a fine settembre per i settori più in crisi, accompagnato da un accordo con i sindacati - è ancora più impervia: la Lega non ci sta perché è troppo, per i 5 stelle non basta. Il saldo della mossa ha un titolo: lo stallo. A venti giorni dalla possibilità per le grandi imprese di tornare a licenziare.
Per capire perché i pezzi della maggioranza ancora non si incastrano, e a cascata perché è ancora lontana l’intesa con le parti sociali, basta raccogliere le reazioni ai due emendamenti presentati dal Pd al decreto Sostegni bis. La prima proposta prevede 13 settimane di cassa integrazione Covid in più, fino a fine settembre, per i settori più in crisi: le imprese continuano a usare la cassa pagata dallo Stato e non possono licenziare. Il tutto si regge su “apposito accordo” da sottoscrivere tra le imprese e i sindacati, mentre spetta ai ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico decidere quali sono i settori in crisi.
È in questo passaggio - il patto con i sindacati che si declina con l’accordo aziendale - che il Pd lancia un gancio alla Cgil. Non solo per una data della proroga del blocco vicina a quel 31 ottobre auspicato dal sindacato guidato da Maurizio Landini. Ma anche per la possibilità di tirare dentro più di un setto...
Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.