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Il percorso a ostacoli del dopo Merkel (di G. Barbieri)

(Photo: DeFodi Images via Getty Images)
(Photo: DeFodi Images via Getty Images)

(di Giovanni Barbieri, membro del Comitato Scientifico del Cranec, Università Cattolica del Sacro Cuore)

L’esito delle elezioni tedesche, qualunque esso sia, avrà una portata che si estenderà ben al di là dei confini nazionali della Repubblica Federale. Al netto, infatti, dei 16 anni di cancellierato di Angela Merkel, che Claudio Landi ha molto ben descritto nel suo recente volume “Frau Merkel: Regina d’Europa”, la domanda da porsi è se, piuttosto, qualcuno ne raccoglierà il testimone. Non è una domanda oziosa, dal momento che dall’orientamento del futuro governo tedesco dipenderà molto del futuro dell’Ue, considerata la posizione di leadership occupata fino ad oggi dalla Germania all’interno delle Istituzioni Comunitarie.

L’estensione su quatto mandati del cancellierato Merkel ha prodotto, infatti, un effetto collaterale sul sistema politico tedesco: ha di fatto bloccato il ricambio e la formazione di classe dirigente all’interno del principale partito di governo, la CDU, così come negli altri principali partiti dell’arco costituzionale tedesco (con la sola eccezione dell’AfD che, tuttavia, è in calo). Il punto non è tanto se il governo risultante dalle elezioni di domenica 26 settembre sarà all’altezza dell’eredità lasciata dalla Merkel, quanto se sarà in grado di raccoglierne il testimone nella capacità di districarsi tra la dimensione di politica interna e quella di politica europea che, oggettivamente, la Merkel ha saputo contemperare con ammirevole abilità.

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Dal 2005 ad oggi, infatti, molte delle tappe che hanno progressivamente segnato il percorso di integrazione europea sono state grandemente influenzate dagli orientamenti del governo tedesco. Dai temi di politica monetaria a quelli di politica fiscale, dalla determinazione degli equilibri istituzionali fino alla definizione delle pratiche di governo dell’Unione, passando dal posizionamento internazionale dell’Unione in un quadro sempre più complesso dei rapporti internazionali tra Stati Uniti, Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese, la voce tedesca è sempre stata la prima e l’ultima nel determinare l’esito di queste negoziazioni. Ed è stata anche la voce della moderazione e della mediazione, in una Unione senza una sua leadership politica chiara e definita.

Un ulteriore elemento critico riguarda la capacità del futuro governo di preservare e/o consolidare il ruolo che la Germania si è ritagliata nel contesto economico e politico europeo nel corso degli ultimi 20 annoi di Unione. Come è risaltato in maniera evidente nel corso delle negoziazioni per l’approvazione dello schema di finanziamento di NextGeneration EU, la Germania è stato l’ago della bilancia nel dibattito sulla sostenibilità dell’emissione di titoli di debito europei (quindi, in qualche modo, mutualizzati) tra i paesi europei rigoristi del Nord e i più ‘flessibili’ governi dei paesi del Sud. Il Cancellierato Merkel ha di fatto silenziato le obiezioni dei rigoristi e questo risultato è imputabile, primariamente, alla posizione di preminenza che il paese ha via via costruito nell’ambito della sua sfera di influenza economica che, ormai, interessa larga parte del nord-est europeo per quanto riguarda l’economia reale e che la lega dal punto di vista dei flussi finanziari ai più piccoli (ma non meno combattivi) Paesi Bassi. La preservazione di questo status sarà la chiave per comprendere quali traiettorie caratterizzeranno il futuro dell’UE in un quadro politico nel quale l’altro attore fondamentale dell’Unione e comprimario della Germania, la Francia di Emmanuel Macron, si avvia ad affrontare le elezioni Presidenziali nella prossima primavera. Con esiti altrettanto incerti.

In definitiva, questa tornata di elezioni politiche, prima in Germania e poi in Francia, avrà il potenziale di impattare enormemente sul futuro percorso dell’Unione, a tutti i livelli. In una Unione in cui prevale ancora il metodo inter-governativo incardinato nel Consiglio Europeo, la scomparsa di leader politici consolidati nel tempo come Angela Merkel e la potenziale caduta di Emmanuel Macron potrebbero complicare non poco il processo negoziale e decisionale che determina la definizione e l’adozione delle priorità e degli indirizzi politici dell’Unione, lasciando la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen come ultimo punto di mediazione nel vuoto lasciato da Angela Merkel.

Ma questo percorso fatto di curve strettissime che si profila all’orizzonte, dovrebbe essere un’opportunità di tirare un bilancio dell’esperienza fin qui accumulata a livello europeo. Un’esperienza che, probabilmente, ha riposto troppa fiducia nelle capacità personali dei leader politici, tralasciando di coltivare e considerare quello che è il carburante della democrazia sostanziale, ovvero la partecipazione politica dei cittadini, attraverso la quale si formano gli orientamenti politici che determinano le decisioni. Se Angela Merkel lascia un vuoto (ed è così), probabilmente la forma democratica dell’Unione non è completamente formata e matura.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.

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