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Il tesoro di Gheddafi, caccia ai miliardi tra misteri e rompicapi politici

Gheddafi nell’agosto del 2010 a Roma, durante una visita ufficiale (foto: Getty Images)
Gheddafi nell’agosto del 2010 a Roma, durante una visita ufficiale (foto: Getty Images)

La domanda primaria è: esiste davvero il tesoro di Gheddafi? La leggenda si mescola in modo indissolubile dalla realtà, e l’ex leader del regime, ucciso a Sirte il 20 ottobre 2011, non potrà mai dare la risposta definitiva.

Si parla di decine di miliardi di euro, addirittura 400 miliardi secondo alcune voci corse in Libia quando il regime crollò. Ma dopo la caduta di Gheddafi, nessuno ci ha davvero capito più niente. Quei soldi sono stati presi dal governo di transizione? O sono rimasti nascosti altrove?

Secondo la voce maggiormente ricorrente, i soldi di Gheddafi e della famiglia sarebbero in conti separati e sparpagliati, in Svizzera, in Belgio, in Bahrain, a Malta, e si dice pure in Italia, paese che ai tempi di Berlusconi è stato amico e confidente. Mentre in passato fu Craxi a salvargli la pelle dopo il tentato attacco missilistico di Lampedusa del 1986.

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Secondo un articolo pubblicato dal Corriere della Sera, ci sono tre forzieri relativi a Gheddafi. Il primo è quello di Stato, facente parte del fondo sovrano Libyan Investment Authority-Lia (67 miliardi di dollari dichiarati anni fa) il cui presidente, Ali Mahmoud Hassan Mohamed, è appena finito in prigione con l’accusa di corruzione.

Il secondo tesoro è quello che la famiglia Gheddafi è riuscita a nascondere all’estero: in Libia stanno dando la caccia a questi soldi in modo incessante. Il terzo è relativo a una corrente ‘svizzera’, con soldi guadagnati dai burocrati attraverso conti neri legati alle operazioni del regime.

In Italia c’è anche un avvocato romano, Giuseppe Cignitti, che da sette anni bracca i beni libici ovunque; è a capo di una cordata di creditori che vorrebbero ottenere oltre 100 milioni. Secondo l’avvocato i saldi attivi di 13 conti correnti presso la Banca Ubae sarebbero stati superiori ai 19 milioni di euro e i movimenti in contanti intorno ai 9 milioni tra il 2013 e il 2017; questi movimenti sarebbero stati enormemente sproporzionati rispetto all’operatività di un’ambasciata di limitate dimensioni.

Oltre a Cignitti anche in Belgio c’è chi reclama indietro il denaro, ed è nientemeno che il principe Laurent, fratello del re. La parte belga è relativa a un contratto di rimboschimento di migliaia di ettari nel nord del Paese, per un valore di 70 miliardi di dollari; un contratto che si è lacerato a causa della fine violenta del regime di Gheddafi. In Belgio c’è anche un’inchiesta per riciclaggio riguardo ai soldi dentro Euroclear, deposito di titoli che galleggia nell’anonimato e nel mistero di operazioni finanzarie assolutamente poco chiare.

In Bahrain c’è invece la Arab Banking Corporation, una controllata della Banca Centrale di Tripoli. Il fondo sovrano Lia depositò tre anni fa 630 milioni di euro in titoli dell’Eni, pari all’1,1% del capitale. La ABC ha una filiale anche in Italia, a Milano, protagonista delle partecipazioni libiche in Fiat, Bancaroma, Tamoil, Juventus, Triestina Calcio, Finmeccanica, Eni, Retelit, Unicredit e Banca Ubae.

Ci sono anche due decreti del Tribunale di Roma che hanno chiesto alla Libia di pagare oltre 1,5 milioni alla clinica Villa Salaria, per prestazioni mediche, mai saldate, in favore di cittadini libici feriti in guerra dal 2011 in avanti. Insomma, il tesoro potrebbe essersi semplicemente spezzettato in mille direzioni diverse: e tutti ne vogliono una fetta.

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