Annuncio pubblicitario
Italia markets close in 1 hour 28 minutes
  • FTSE MIB

    33.343,88
    -610,40 (-1,80%)
     
  • Dow Jones

    37.846,89
    +111,78 (+0,30%)
     
  • Nasdaq

    15.895,90
    +10,88 (+0,07%)
     
  • Nikkei 225

    38.471,20
    -761,60 (-1,94%)
     
  • Petrolio

    85,35
    -0,06 (-0,07%)
     
  • Bitcoin EUR

    58.990,53
    -2.978,82 (-4,81%)
     
  • CMC Crypto 200

    885,54
    0,00 (0,00%)
     
  • Oro

    2.390,90
    +7,90 (+0,33%)
     
  • EUR/USD

    1,0635
    +0,0009 (+0,09%)
     
  • S&P 500

    5.058,65
    -3,17 (-0,06%)
     
  • HANG SENG

    16.248,97
    -351,49 (-2,12%)
     
  • Euro Stoxx 50

    4.904,78
    -79,70 (-1,60%)
     
  • EUR/GBP

    0,8539
    +0,0004 (+0,04%)
     
  • EUR/CHF

    0,9710
    +0,0024 (+0,25%)
     
  • EUR/CAD

    1,4717
    +0,0073 (+0,50%)
     

Imprese con i nervi a fior di pelle: vedono un lockdown energetico

Caro gas (Photo: Getty&HP)
Caro gas (Photo: Getty&HP)

Cartiere, mobilifici, produttori di ceramiche, aziende chimiche, acciaierie: è lungo l’elenco delle aziende italiane che in questi giorni non sono in grado di dire fino a quando riusciranno a evitare blocchi alla produzione, rinviare l’attivazione di ammortizzatori sociali e, infine, impedire il default. Il caro energia, trainato dall’esponenziale aumento del prezzo del gas, sta mettendo a dura prova la tenuta di tutto il tessuto industriale ma alcuni comparti, quelli più energivori, sono quelli che nel brevissimo termine temono di dover arrestare i cicli produttivi. Si tratta di quei settori che la legge italiana e le linee guida dell’Unione europea classificano come “a forte consumo di energia”, o meglio che consumano più di un Gigawattora, un milione di chilowattora, all’anno. Ognuna di queste aziende ha poi le sue specificità che nel contesto attuale di globale aumento dei prezzi di approvvigionamento, materie prime e trasporto, stanno esasperando la fabbricazione di materiali di ogni sorta, inclusi quelli di larghissimo consumo. “Mercoledì il prezzo del gas ha raggiunto 300 euro per megawattora, una roba senza precedenti che impatta enormemente sulla manifattura e sulle bollette e non solo a questo punto sulle fasce vulnerabili della società ma su tutti”, ha detto il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani. Un incremento poi lievemente rientrato, attestandosi su livelli comunque alla lunga insostenibili (intorno ai 100 euro per megawattora), dopo la promessa della Russia, primo fornitore europeo di gas, di aumentare le forniture nei gasdotti europei dopo averle ridotte per tutelare scorte interne e clienti asiatici. Promemoria: solo un anno fa il gas scambiava intorno ai 10 euro per megawattora.

Ci sono quindi i cittadini che già in questi giorni pagheranno il 29,8% in più per l’elettricità il 14,4% in più per il gas. E poi c’è il mondo delle imprese, alcune in particolare. A Ferrara un’azienda che lavora nel polo petrolchimico, la Yara, ha stoppato la produzione di ammoniaca a causa del livello raggiunto dal prezzo del metano. Una situazione che la accomuna a tutto il comparto chimico e dei fertilizzanti, classificato come altamente energivoro. In Italia è fatto da oltre 2.800 imprese e 3.300 insediamenti attivi sul territorio, è il terzo produttore europeo e il sesto settore industriale del Paese e impiega direttamente 111 mila addetti, oltre 270 mila considerando l’indotto. Il ritorno sui livelli pre-Covid è oggi fortemente minacciato dai costi di approvvigionamento andati fuori giri nelle ultime settimane. La Chimica utilizza i prodotti fossili anche per usi non energetici, oltre a utilizzarli come materia prima.

Non aiuta, nella sostenibilità dei conti economici delle imprese del settore, il costo sempre più alto per le quote di emissione di CO2. Si tratta, in pratica, dei diritti per le imprese di emettere una quantità prestabilita di anidride carbonica. Queste quote, scambiate sui mercati, hanno visto il loro valore di mercato aumentare di pari passo con la ripresa economica e con la forte spinta della Commissione europea a tagliare le emissioni per avvicinare prima il traguardo della neutralità climatica. Se a marzo scorso il prezzo era di 40 euro per tonnellata, di recente si è arrivati a scambiare una tonnellata di CO2 a più di 60 euro. Il comparto chimico è tra quelli che sta pagando il prezzo più alto alle politiche di transizione introdotte dell’Ue: “Il divario di competitività nei confronti degli altri produttori europei non è sostenibile alla luce dell’aumento del costo dei permessi per le emissioni di CO2 conseguente all’innalzamento degli obiettivi ambientali europei e in presenza di fenomeni anche speculativi”, fanno sapere da Federchimica.

ANNUNCIO PUBBLICITARIO

Con la forte interconnessione delle filiere, il caro dell’energia rischia di contagiare anche altri settori che col gas hanno ben poco a che fare. È il caso del comparto agricolo e zootecnico, anch’esso con le sue specificità: “Ha pagato a caro prezzo sia le ondate di freddo anomalo nelle gelate dei mesi scorsi, sia le temperature di fuoco degli ultimi tre mesi, con costi di produzione che si sono impennati per il maggior consumo di energia elettrica e approvvigionamento idrico”, ha detto il presidente di Cia Puglia Raffaele Carrabba. Ma ora l’attenzione è tutta rivolta all’aumento dei prezzi dei fertilizzanti che sono diventati un’ulteriore fonte di incertezza per gli agricoltori già alle prese con il rincaro di materie prime come le sementi. E preoccupano perché il periodo delle semine dei cereali, tra metà ottobre e metà novembre, si avvicina col costo dei concimi quasi raddoppiato: “Rischiamo di perdere aziende costrette a vendere o a chiudere, con il conseguente impoverimento del nostro tessuto economico e la perdita di migliaia di posti di lavoro”, mettono in guardia gli agricoltori pugliesi.

La fila di coloro che teme di pagare un conto salato al caro energia è tuttavia ancora lunga. “Non so fino a quando il mio settore riuscirà ad andare avanti”, dice all’HuffPost Paolo Fantoni, presidente dell’omonimo gruppo che produce pannelli e presidente di Assopannelli-Federlegno. “E ci preoccupa la filiera a valle, dove la concorrenza tra mobilifici è notoriamente molto accesa. Con questi prezzi e le gravi conseguenze sulla marginalità delle imprese del mobile di questo passo perderemo importanti player di mercato. Già alcuni fornitori di urea hanno dichiarato default, e così anche alcuni produttori di carta melamminica”, quella che viene impiegata per il rivestimento di arredi in legno.

Il caro dell’energia impatta quindi su tutti gli anelli intermedi della filiera dei mobilifici, quelli che producono pannelli truciolari/MD, compensati, listellari e semilavorati. “Ma il nostro settore ha un’aggravante”, prosegue Fantoni, spiegando che i costi energetici oltre a impattare sul funzionamento degli impianti incidono anche sul prezzo di un materiale indispensabile per la produzione di pannelli, l’urea appunto, una componente chimica condensata mediante gas utilizzata nell’industria dei prodotti del legno, andando così a gonfiare un’altra voce del capitolo costi del bilancio di ogni azienda del settore.

L’elenco prosegue: come già raccontato dall’HuffPost, il prezzo del gas sta mettendo a dura prova poi anche la resistenza del settore della carta in un Paese che ha nella regione della Lucchesia il più grande polo cartario d’Europa. “Alcune cartiere italiane stanno valutando lo stop degli impianti a causa dell’impennata del prezzo gas naturale, in particolare nel settore tissue dove è più difficile trasferire sul mercato finale gli aumenti dell’energia che costituisce il 30% dei costi complessivi di produzione”, afferma all’HuffPost Massimo Medugno, direttore generale di Assocarta.

Per carta tissue si intende tutta quella carta destinata all’uso igienico e sanitario sia nelle case private sia nei luoghi pubblici. Sono prodotti di larghissimo consumo, anzi indispensabili, come carta igienica, tovaglie e tovaglioli, fazzoletti, rotoli da cucina. O anche lenzuolini medici, rotoli industriali, veline facciali. Già tra aprile e giugno si è registrata una flessione del 5,2% nella produzione che si è intensificata a partire da maggio (-9,3%) e se il caro prezzi continuerà ad affliggere gli approvvigionamenti, le difficoltà di chi fa impresa sono destinate a esacerbarsi fino a portare alla chiusura degli impianti. Coi prezzi attuali, infatti, già si lavora sottocosto, cioè con le spese che superano di gran lunga i ricavi. E non per mancanza di mercato, tutt’altro. Oltre all’energia impiegata per il funzionamento dei macchinari a ciclo continuo, le aziende si servono di grandi quantità di metano per i processi di asciugatura della carta nella fase di trasformazione. Il settore nel 2020 ha fatturato 6,3 miliardi di euro, di cui il 23% generato dal comparto di produzione di carte tissue, per un totale di 8,5 milioni di tonnellate di cui circa il 20% di carta igienico sanitaria. L’Italia è il primo produttore europeo di carte tissue con una quota del 20,4%, più anche della Germania (l’intero comparto impiega quasi 19mila dipendenti in Italia).

Nemmeno la pandemia era riuscita a mettere al tappeto questi settori, il gas invece minaccia di farlo. Non fanno eccezione i fornitori di materiali di produzione. “Il rincaro della bolletta energetica mette a rischio non soltanto la ripartenza, ma addirittura la sopravvivenza di alcune aziende del comparto materiali da costruzione”, ha dichiarato Alex Luci, che guida il gruppo materiali da costruzione in Confindustria Udine. Per le aziende che producono laterizi, i “mattoni” largamente impiegati nell’edilizia civile e non, il costo del gas e dell’energia rappresenta circa il 40% dei costi complessivi. Negli ultimi giorni “alcune imprese del settore stanno ritoccando i propri listini, maggiorandoli di circa il 30%, ma tutto questo, ammesso che il mercato lo consenta, rischia di non bastare. Se le dinamiche non cambiano, infatti, tra circa un mese saranno costrette a rivedere i listini con un ulteriore 20% di aumento”. Questi andranno a poi scaricarsi sui consumatori, con buona pace dell’industria edile e del tanto acclamato Superbonus al 110% per le ristrutturazioni edilizie ad alto risparmio energetico. Se invece il mercato non riuscirà a recepire i rialzi, “le imprese - avverte Luci - non avranno alternative e saranno costrette a fermare la produzione entro l’anno”.

Anche le ceramiche, d’altronde, sono un settore annoverato tra quelli a largo consumo di energia (più di trentamila dipendenti). L’utilizzo del gas nella produzione di piastrelle porterà a un incremento dei costi di fabbricazione di almeno 3,4 euro per metro quadrato, pari a un extra costo complessivo di quasi un miliardo e mezzo. “Si tratta di un valore pari a un quarto del fatturato e cinque volte l’utile dopo le imposte. Per i laterizi, l’incremento del costo di fabbricazione è di circa 40 euro per tonnellata, pari ad un extra costo settoriale di 160 milioni di euro, il 40% del fatturato. È chiaro che non si può sostenere”, ha avvertito Giovanni Savorani, presidente di Confindustria Ceramica.

“Non sappiamo fino a quando le nostre aziende riusciranno ad andare avanti”, continua Fantoni, produttore di pannelli in legno. “Prima potevamo compensare, durante le crisi, secondo logiche di vasi comunicanti con le forniture provenienti dal Nord America e dall’estremo oriente, ma oggi anche noleggiare un container è diventato proibitivo. Già hanno dichiarato default diversi fornitori di urea e altri produttori di pannelli idrorepellenti e carte melaminiche a causa della carenza di melammina, oggi praticamente introvabile”. Le ‘spese vive’ delle imprese del settore sono esplose: “Nei nostri bilanci i costi per energia e gas in condizioni normali incidono per il 12% del nostro fatturato. Ora: i prezzi dell’energia sono più che quintuplicati, quelli dell’urea sono aumentati del 300%, faccia lei i conti di quanto ci costa il caro bollette”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.