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Inflazione europea, il nuovo rischio per l'Italia

Gli ultimi dati pubblicati dall'Eurostat, l'ufficio statistico europeo, hanno mostrato una robusta ripresa dell'inflazione nell'Eurozona a dicembre: +1,1% il valore tendenziale contro il +0,6% di novembre. Il dato ha superato le attese degli analisti e rappresenta il massimo incremento negli ultimi 39 mesi. L'inflazione cosiddetta "core", ovvero quella al netto di prodotti energetici e alimentari, è aumentata del +0,9%.

La ripresa dell'inflazione non è stata tuttavia omogenea tra i vari paesi dell'Eurozona. Gli incrementi più significativi sono arrivati, in particolare, da Germania, Spagna e Francia. L'inflazione tedesca è salita del +1,7% su base annua; quella spagnola del +1.5%, e quella francese del +0,8%. Non succedeva dal maggio 2014. Per l'Italia, purtroppo, l'aumento dei prezzi non ha seguito il ritmo della media europea. Anzi, come certificato dall'ISTAT, nel 2016 si è registrato una diminuzione del livello generale dei prezzi pari al -0,1%. Tanto per dare una misura del fenomeno, l'ultima volta che si era registrata una deflazione annuale era il 1959.

La preoccupazione per il Belpaese non viene tanto dal calo dei prezzi per se, che in teoria potrebbe non essere necessariamente uno svantaggio. Svantaggio lo diventa dal momento in cui l'Italia appartiene ad una unione monetaria, dove la politica monetaria è unica per definizione e la banca centrale, in questo caso la BCE (Toronto: BCE-PRA.TO - notizie) , deve prendere le decisioni su tassi d'interesse e offerta di moneta tenendo conto della media delle economie nazionali. La politica monetaria della BCE è in questo momento troppo accomodante, con tassi d'interesse addirittura negativi e un Quantitative Easing senza precedenti. Draghi ha sempre giustificato questa "stance" affermando che occorrevano misure adeguate per far fronte alla crisi del dopo Lehman Brothers. Economia europea troppo debole, inflazione nell'area euro lontana dal valore obiettivo del 2%, scarsa liquidità nel sistema, eccetera. Tutto vero.

Ora, però, la situazione è cambiata. L'economia europea sta gradualmente uscendo dalla fase di crisi e, come si è scritto, l'inflazione si sta riavvicinando verso valori normali. Mantenere una politica accomodante non ha quindi più alcuna giustificazione. Lo sanno bene i tedeschi, che stanno premendo proprio su Draghi affinché riduca al più presto il suo programma di allentamento monetario e rialzi i tassi d'interesse negativi, che tanti danni hanno creato ai risparmiatori tedeschi. Difficilmente Draghi potrà non dar ragione ai falchi della Bundesbank, dal momento che i dati macro danno loro ragione. Prevedibile quindi che nel 2017 la BCE restringerà la sua politica monetaria. Per l'Italia questo è un problema, in quanto aumenterebbe il costo del denaro in un momento in cui le imprese chiedono maggiori finanziamenti al sistema bancario. Senza contare l'aumento dei costi degli interessi sul debito pubblico, già a livelli record. Il pressing tedesco sulla BCE si è fatto sentire anche dal ministro dell'economia tedesco Schauble, a dimostrazione di quanto la Germania tenga a riportare la politica monetaria verso una posizione più classica, in maniera da evitare un eccessivo surriscaldamento dei prezzi. Da non dimenticare, tra le altre cose, che tra pochi mesi scadrà il mandato di Draghi al vertice della banca centrale. Principale candidato alla successione è il falco tedesco Weidmann, dal momento che la Germania è l'unica tra le big dell'Eurozona a non aver ancora avuto la presidenza.

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