Annuncio pubblicitario
Italia markets close in 7 hours 13 minutes
  • FTSE MIB

    34.228,53
    -42,59 (-0,12%)
     
  • Dow Jones

    38.460,92
    -42,77 (-0,11%)
     
  • Nasdaq

    15.712,75
    +16,11 (+0,10%)
     
  • Nikkei 225

    37.628,48
    -831,60 (-2,16%)
     
  • Petrolio

    83,14
    +0,33 (+0,40%)
     
  • Bitcoin EUR

    59.725,31
    -2.578,96 (-4,14%)
     
  • CMC Crypto 200

    1.331,76
    -50,81 (-3,68%)
     
  • Oro

    2.340,70
    +2,30 (+0,10%)
     
  • EUR/USD

    1,0728
    +0,0028 (+0,26%)
     
  • S&P 500

    5.071,63
    +1,08 (+0,02%)
     
  • HANG SENG

    17.269,04
    +67,77 (+0,39%)
     
  • Euro Stoxx 50

    4.968,63
    -21,25 (-0,43%)
     
  • EUR/GBP

    0,8571
    -0,0012 (-0,14%)
     
  • EUR/CHF

    0,9794
    +0,0010 (+0,11%)
     
  • EUR/CAD

    1,4668
    +0,0012 (+0,08%)
     

Iniziata la guerra commerciale: Tokyo si scaglia contro Trump

Mentre il mondo attende l’insediamento ufficiale di Trump, il Giappone lancia un chiaro segnale al repubblicano.

Il caso del Giappone

Nella notte, l’ambasciatore giapponese in Nuova Zelanda ha confermato che il Parlamento nipponico ha ratificato gli accordi di libero scambio (TPP) dell’Area Asia-Pacifico, gli stessi che Trump ha in agenda di eliminare. La Nuova Zelanda, da chiarire, è la nazione che gestisce il processo di adesione tra i 12 paesi del Pacifico. Un gesto simbolico visto che l’accordo sarà effettivo solo con il sì di almeno 6 nazioni su 12 coinvolte e il cui Pil arrivi all’85% dei firmatari. In contemporanea, la Cina, che nella persona del suo presidente, Xi Jinping aveva difeso il processo di globalizzazione durante il Forum di Davos, ha comunicato il dato ufficiale del Pil: 6,7% come da target. Anche in questo caso un numero che offre più di un’interpretazione. Si tratta, infatti, della conferma di una calo costante e inarrestabile di quella crescita miracolosa e oggettivamente insostenibile, che aveva contrassegnato il boom economico di Pechino negli anni passati; non pe niente è il valore più basso nel giro di 26 anni. Ma nello stesso tempo è un numero che supera quel limite minimo fissato al 6,5% e sotto il quale sarebbe scattato l’allarme.

Cina: un punto interrogativo

ANNUNCIO PUBBLICITARIO

Resta però il punto interrogativo più grande: da cosa deriva questo numero? Molto si è discusso sui parametri usati dalle agenzie cinesi per riuscire ad ottenere un risultato rassicurante, così come anche molto spesso si è discusso circa i fattori che di volta in volta erano presi in considerazione per dimostrare al mondo che gli investimenti fatti dai vertici comunisti (o da quanto di comunista può esserci in una nazione che difende la globalizzazione, o per lo meno non la condanna) sono oltre che oculati anche efficienti. In realtà la voce più in crescita, analizzando il dato Pil di Pechino, risulta essere quella su Spesa e Sviluppo, con una forte presenza degli investimenti infrastrutturali. Proprio a causa di questo, i critici hanno accusato il governo del Celeste Impero, di puntare l’attenzione e soprattutto i capitali, su opere faraoniche, al solo scopo di far lievitare le cifre, opere faraoniche che poi inevitabilmente cadono nel dimenticatoio di una popolazione che non le userà mai. La preoccupazione maggiore, però, arriva dal freno ai consumi interni: la Cina, infatti, si trova al centro di una vera e propria rivoluzione copernicana che pretende di rendere l’immensa nazione un’economia basata per lo più sulla domanda e sul consumo interno, a discapito di un export che, complice la crisi mondiale, è venuto meno in passato e, con ogni probabilità continuerà a calare anche nel futuro. Un sostegno, dunque, sul quale Pechino non potrà più contare e che nei decenni dello scorso secolo è stato invece, il punto centrale della rinascita della Cina stessa.

Debito Corporate

Altro protagonista, in negativo del Pil cinese, è il debito corporate: 169% il saldo finale, nonostante le rassicurazioni fatte di contenere i livelli di debito delle aziende e tagliare la capacità produttiva di carbone e acciaio per frenare la potenziale crescita di bolle. anche per il 2017, però, si temono crescenti incertezze, come specificato qualche giorno fa dal direttore della National Development and Reform Commission (NDRC) Xu Shaoshi. Una sempre più ampia spesa governativa, una crescita potenzialmente squilibrata del settore immobiliare e i livelli record dei prestiti bancari hanno aiutato il Pil ma hanno inevitabilmente impattato sul debito. Altro punto oscuro restano anche le banche: a metà dicembre l’outlook di Fitch sul settore bancario cinese restava negativo a causa della scarsa profittabilità e della crescita del credito che dovrebbero tenere sotto pressione la capitalizzazione ancora a lungo. Nulla di nuovo, visto che sono argomenti da tempo trattati e conosciuti, a cambiare è invece il panorama internazionale: se fino a ieri il rischio era tollerato, da oggi in poi i margini tendono ad essere sempre più risicati, soprattutto alla luce di una continua fuga dei capitali.

Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online