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Insulti sul web, i casi che diventano reati

I commenti web più subdoli e gravi sono un’arma a doppio taglio. Ecco perché (foto d’archivio Getty Images)
I commenti web più subdoli e gravi sono un’arma a doppio taglio. Ecco perché (foto d’archivio Getty Images)

Solo 20 anni fa era d’abitudine leggere i quotidiani e guardare la televisione, prima di andare al bar per commentare gli eventi e le parole altrui. In un’atmosfera più conviviale e pervasa d’ironia, poteva capitare che qualcuno, ostentando sicurezza, parlasse male di qualcosa o qualcuno lontano dalla sua vita. Una volta usciti dal bar, tutto finiva di essere importante e le parole, in modo lieve, scomparivano nell’oblio – indipendentemente dal loro grado di gravità.

Oggi c’è internet. Ci sono i social e le app per i messaggi istantanei come WhatsApp. E quindi una volta letta una notizia gli utenti hanno a disposizione un mezzo rapido per far conoscere la propria idea sui fatti più disparati. Idee che però possono trasformarsi in insulti, che invece di svanire come una parola al bar rimangono fissati sul web sostanzialmente a imperitura memoria.

Può un insulto sul web essere ritenuto diffamatorio?

Sui siti web e sui social sicuramente sì, c’è già ampia giurisprudenza a riguardo: qualsiasi insulto scritto da un utente web sotto il post pubblico di un altro utente può formare una prova utilizzabile in sede processuale. E in questi casi c’è poco da protestare, perché ‘carta canta’. Per WhatsApp e email il discorso è un po’ più complesso.

Prima di tutto va chiarita la differenta tra ingiuria e diffamazione. L’ingiuria è un’offesa rivolta ‘direttamente’ a una persona, in un contesto di un colloquio a due. La diffamazione invece è un’offesa detta in assenza/presenza della vittima davanti a due più persone. Un’altra fondamentale differenza è che la diffamazione, a differenza dell’ingiuria, è un reato: dunque basta depositare una querela ai carabinieri o in procura per far avviare le indagini.

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Mandare un messaggio offensivo su WhatsApp o via email a una singola persona, in modo diretto, è un’ingiuria. La vittima può ottenere un risarcimento solo attraverso una causa civile, con anticipazione delle spese legali e una oggettiva difficoltà a dimostrare il danno subito. Il risarcimento può andare dai 200 ai 12mila euro, ma con fedina penale pulita.

Mandare un messaggio offensivo in una chat di gruppo o in una email nella quale ci sono altri soggetti in copia è invece diffamazione, perché l’insulto è diffuso a tutti, in modo capillare. Chi manda il messaggio è consapevole del possibile effetto della missiva sugli altri destinatari. Un messaggio che invece riferisce di offese nei confronti di un terzo non configura né ingiuria (mancando la presenza del soggetto leso), né diffamazione, ma se il destinatario è presente, allora si ha diffamazione.

Di conseguenza una litigata sulla chat di gruppo di WhatsApp o una email può diventare un grosso guaio: come sempre bisognerebbe fare, meglio calibrare le parole in ogni situazione.

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