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Investire in azioni: 4 società da non comprare in questo periodo

Investire in azioni: 4 società da non comprare in questo periodo

Nei periodi di forte rialzo generale del mercato azionario gli investitori possono conseguire profitti imponenti. Purtroppo quella attuale non è assolutamente una fase toro. Ciò non significa che pur attuando le strategie giuste sia impossibile realizzare degli interessanti guadagni, ma certamente occorre porre un’attenzione particolare agli ultimi avvenimenti, affinché non vengano compiute scelte troppo azzardate o comunque prive dell’assoluta consapevolezza di quanto potrebbe accadere nel breve termine. Per questo motivo noi analisti della Domino Solutions segnaliamo quattro titoli che mostrano forti segnali negativi.

Credit Suisse (Londra: 0QP5.L - notizie) (CS)

Credit Suisse è un colosso bancario svizzero che offre servizi finanziari di vario genere in tutto il mondo. Tra le sue principali attività figurano il private banking, cioè l’offerta di servizi a clienti privati di una certa rilevanza economica (fra cui la gestione patrimoniale, detta asset management) e l’investment banking.

Il 2015 si è chiuso con un buco di circa 3 miliardi di franchi dovuto ad alti costi di ristrutturazione, una forte svalutazione del suo avviamento d’impresa e il regolamento di una serie di contenziosi giuridici. Un disastro che ha portato il prezzo dell’azione a dimezzarsi, passando in un solo anno da 30$ agli attuali 13$.

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Malgrado la valida strategia di taglio dei costi, soprattutto della dispendiosa e poco redditizia divisione che si occupa di investment banking, il primo trimestre 2016 si è chiuso con una perdita di 300 milioni di franchi.

Le condizioni di mercato ancora deboli non fanno altro che fornire segnali negativi anche per il prossimo semestre.

Medley Capital Corporation (MCC (HKSE: 1618-OL.HK - notizie) )

Si tratta di una piccola "Business Development Company", ovvero una società di investimento chiusa che, una volta soddisfatti determinati i requisiti di legge, genera reddito e rivalutazione del capitale mediante l’erogazione di prestiti a imprese di piccola e media dimensione per aiutarle a espandere le proprie attività o procedere con nuove acquisizioni.

L’alta leva finanziaria di queste imprese ha creato un’esposizione al rischio talmente elevata da erodere ogni aumento di fatturato derivante dalle gestioni di portafoglio aziendali, viste le enormi svalutazioni dei crediti talmente deteriorati da non essere più riscuotibili. La conseguenza è stata la chiusura del bilancio 2015 con una perdita netta.

A nulla sembrano essere valsi i tagli alle commissioni manageriali e il tentativo di riacquisto di azione proprie per il valore di qualche milione: i già scadenti risultati dell’anno passato in questo primo trimestre sono addirittura peggiorati.

Deutsche Bank (Londra: 0H7D.L - notizie) (DB)

Non ce ne vogliano gli istituti di credito che offrono servizi finanziari, ma se nel nostro elenco continuano a comparire solo queste tipologie di società evidentemente esiste un problema di fondo. E’ infatti palese la difficoltà nel comprendere le condizioni di mercato.

Contrariamente alla convinzione generica che fa dei tedeschi un popolo infallibile nella sua precisione, la Deutsche Bank da diverso tempo deve sostenere oneri processuali per essersi resa protagonista di comportamenti non del tutto corretti e imponenti svalutazioni del suo credito. Il risultato è il solito: perdita di bilancio del 2015 di quasi 7 miliardi!

Anche quest’anno la nuova direzione sta lottando per arrestare l’emorragia di liquidità, ma l’eliminazione dei dividendi e di migliaia di posti di lavoro non è stata ancora sufficiente. La questione dell’alto indebitamento è dunque ancora di primo piano, con un’elevata leva finanziaria con cui opera che non accenna a ridursi.

Di (KSE: 003160.KS - notizie) fronte a questa situazione, difficilmente la Deutsche Bank potrà evitare un ulteriore aumento di capitale.

Chesapeake Energy Corporation (CHK)

Chesapeake è una società attiva nell’estrazione e produzione di petrolio e gas naturale. Al di là del noto crollo del prezzo petrolifero che ha eroso gravemente i guadagni derivanti dalle vendite, sono i quasi 20 miliardi di svalutazione di assets a pesare sul disastroso bilancio 2015. Le tantissime operazioni di cessione di beni condotte hanno come unico risultato positivo la possibilità di chiudere l’anno leggermente in rosso, ma sono in realtà un modo gentile per far capire che l’attività è praticamente messa in liquidazione.

La situazione infatti continua ad essere grave: nonostante il prezzo del petrolio sia in ripresa, il fatturato continua a diminuire senza raggiungere nemmeno le già basse aspettative degli analisti. A ciò si aggiunge anche un indebitamento altissimo che lascia intendere difficoltà nella gestione finanziaria a breve termine.

Chiunque si ritrova nel proprio portafoglio uno di questi titoli azionari dovrebbe seriamente considerare se continuare a dargli fiducia nella speranza di un recupero. A maggior ragione chi ancora non li possiede dovrebbe per il momento evitare di inserirli nella lista personale dei possibili acquisti.

Autore: Dominosolutions.it Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online