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ANALISI - Italia, con rialzo tassi retail e istituzionali in aiuto debito pubblico

di Giulio Piovaccari

MILANO (Reuters) - Un rialzo dei rendimenti sui titoli di Stato italiani potrebbe riaccendere l'interesse di diverse categorie di investitori, raffreddatosi negli ultimi anni a causa delle remunerazioni in discesa: risparmiatori e soprattutto, dato il loro peso assoluto, gli istituzionali nazionali.

Il rendimento sui Btp decennali si è riportato negli ultimi giorni sui massimi dall'autunno 2014, scontando una progressiva riduzione del sostegno monetario assicurato dalla Bce: nel corso del 2018 è previsto l'esaurimento del programma di Qe mentre gli investitori ragionano su un eventuale rialzo del tasso sui depositi marginali prima della fine del Qe.

"La domanda è chi sarà ora il compratore marginale di Btp, ruolo che in passato è stato coperto dalle banche italiane", afferma l'economista di Hsbc Fabio Balboni. "Finora la riduzione dei loro portafogli è stata contenuta, ma difficilmente il trend è invertibile".

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Il rialzo dei rendimenti potrebbe preservare l'interesse sui titoli di Stato italiani in un momento in cui il Tesoro dovrà fare i conti anche con la prospettiva che le banche del Paese -- per necessità legate alle attuali difficoltà o per timori di una regolamentazione futura più penalizzante -- difficilmente sosterrano il debito nazionale come in passato.

Da più parti all'interno dell'Ue si punta a introdurre forme di limitazione al possesso dei governativi da parte delle banche, sebbene prevedendo congrui periodi di transizione rispetto al regime attuale [nL5N17Z4EO]. Due le proposte sul tavolo: l'introduzione di un tetto al possesso oppure la richiesta agli istituti di accantonare capitale a fronte delle posizioni in governativi, attualmente considerati 'risk free' [nL8N1CU1SW]. Anche per la ferma opposizione di alcuni Paesi tra cui l'Italia, negli ultimi mesi il dibattito resta però congelato.

A fine 2016 le banche italiane detenevano 375 miliardi di titoli di Stato nazionali, il 20% del totale.

CORRELAZIONE

Secondo i numeri di Banca d'Italia, a fine del 2016 il portafoglio titoli di Stato italiani in mano al retail è risalito a 91,4 miliardi di euro dai 77 di novembre, il livello più basso mai registrato dall'inizio della serie, nel 1988.

"C'è un'elevata correlazione tra aumento dei rendimenti e appetito di investitori come i retail", afferma lo strategist di Unicredit Elia Lattuga. "Occorrono nuove conferme ma è ragionevole aspettarsi un ritorno degli acquisti di titoli di Stato italiani da parte del retail, una primissima indicazione si è già avuta coi dati di dicembre".

Un ulteriore test dell'appetito del retail in un contesto di tassi reali in risalita si potrebbe avere con l'eventuale lancio del nuovo Btp Italia, che molti attendono per aprile.

Tuttavia anche ipotizzando una risalita del portafoglio retail a livelli pre Qe, questo potrebbe non essere sufficiente a dare adeguato sostegno al debito pubblico italiano, destinato secondo molti a non scendere in modo significativo dall'attuale livello in area 130% del Pil negli anni a venire. Anni che si preannunciano incerti, con l'esaurimento del sostegno monetario della Bce, una crescita economica sotto la media della zona euro, i dubbi sui futuri assetti politici e i postumi delle difficoltà del settore bancario.

Da marzo 2015 -- inizio del Qe -- a fine 2016 Banca d'Italia ha più che raddoppiato il proprio portafoglio di titoli di Stato italiani (da 101 a 270 miliardi), salendo al 14,4% del totale), coprendo l'aumento dei titoli del debito pubblico in circolazione (+44,1 miliardi) oltre che il disinvestimento da parte delle altre categorie: il portafoglio retail si è quasi dimezzato a 91,3 miliardi (-87,5), quello delle banche nazionali è sceso di 38,6 miliardi, quello degli esteri di 31 (a 677,4 miliardi); quest'ultima categoria comprende anche i titoli comprati direttamente dalla Bce e quelli detenuti da soggetti domiciliati all'estero a riconducibili a investitori italiani, ad esempio fondi.

È invece incrementato di circa 33 miliardi il portafoglio di fondi e assicurazioni italiani.

"Un ritorno del retail è possibile; il loro portafoglio è basso in assoluto ma è vero che il retail italiano è uno dei più forti in Europa", commenta da Londra lo strategist di una banca britannica. "Ma c'è anche un tema istituzionali, le assicurazioni italiane ad esempio sono molto guidate nelle loro scelte dai livelli dei tassi, molto meno dalla volatilità".

FONDI E ASSICURAZIONI

Un ruolo di rilievo potrebbero quindi averlo fondi e assicurazioni, nei cui portafogli a fine 2016 c'erano quasi 460 miliardi di governativi nazionali, un quarto del totale.

La strategist di Intesa Sanpaolo Chiara Manenti ipotizza nel 2018 un'uscita "graduale" dal Qe, calcolando che il mercato dovrà assorbire l'anno prossimo circa 20 miliardi di emissioni nette del Tesoro italiano, al netto degli acquisti Bce.

"Se per allora i rendimenti dei Btp si collocheranno su livelli più competitivi rispetto ad altri dei G7, la raccolta di fondi e assicurazioni potrà assorbire agevolmente la nuova offerta" spiega. "Un aumento dei rendimenti favorirebbe un miglioramento delle performance di questi prodotti che per molti mesi, con tassi praticamente a zero, difficilmente riuscivano a coprire i costi di gestione e delle commissioni".

Recenti dati di Bankitalia evidenziano che l'incremento del portafoglio di titoli di Stato italiani di fondi e assicurazioni registrato nel corso del 2016 è in gran parte riconducibile alle assicurazioni, mentre i fondi sono rimasti pressoché fermi.

ESTERI

D'altra parte, come sottolinea Lattuga, "retail, banche ed esteri hanno venduto titoli di Stato anche perché bisognava fare spazio agli acquisti della Bce".

"Non prevedo una grosso cambiamento delle posizioni di banche nazionali ed esteri, a meno dell'introduzione di limiti regolamentari molto severi al possesso di governativi o di un forte aumento della percezione del rischio Paese. E almeno in teoria le previsioni dei prossimi anni non sono per un aumento significativo del debito pubblico", spiega lo strategist.

Nel 2010 il portafoglio degli investitori esteri si attestava saldamente sopra i 700 miliardi (con punte sopra i 750) per ridursi rapidamente con la crisi finanziaria, arrivando sotto quota 600 miliardi a metà 2012. Ancora più evidente il calo termini percentuali, dal 50% e oltre prima della crisi a livelli stabilmente inferiori al 40%.

"Rispetto al periodo pre crisi, la percentuale di debito detenuta da investitori esteri si è ridotta significativamente" conclude Lattuga. "In caso di miglioramenti dell'appetito al rischio credo che anche gli esteri possano trovare conveniente rafforzare le posizioni sull'Italia".

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