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Jackson Hole: banche centrali con armi sempre più spuntate?

Inizia oggi la riunione di Jackson Hole in Wyoming dei banchieri centrali, un appuntamento particolarmente sentito visto il cambio di rotta avvenuto durante l'anno per quanto riguarda le politiche monetarie della Federal Reserve la quale, dopo l'entusiasmo di fine 2015 confermato dal rialzo dei tassi dal minimo storico dello 0-0,25%, valore in cui erano arenati da quasi 7 anni, al range dello 0,25-0,50% si è dovuta fermare.

La tempesta sui mercati del 2016

La tempesta sui mercati asiatici (cinesi su tutti) e poi lo schiaffo inatteso della Brexit, schiaffo che a sua volta ha accentuato le crepe nel sistema di credito europeo in generale e italiano in particolare, hanno costretto la banca centrale statunitense a prendere più di una precauzione prima di procedere a un eventuale nuovo rialzo. Anche perché la sua stessa economia non può vantare una solidità su tutti i fronti: i numeri parlano di piena occupazione (disoccupazione al 5%) e di crescita al 2% ma la qualità del lavoro creato è per lo più precaria, i salari vedono aumenti minimi e le vendite al dettaglio sono in crisi anche per quanto riguarda le grandi catene. Inoltre le revisioni del Pil potrebbero portare brutte sorprese (il dato è atteso la settimana prossima) e nell'incertezza è facile che la strategia adottata dal governatore della Banca centrale a stelle e strisce sia quella attendista, cercando nello stesso tempo di evitare che i mercati facciano troppo affidamento sulle mosse della Fed, rischiando di essere perciò delusi sia in caso di nulla di fatto anche dopo la prossima riunione di fine settembre, sia in caso di nuove strette sul costo del denaro.

L'incertezza delle elezioni

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Non bisogna dimenticare poi che tra gli appuntamenti di rilievo, gli Usa si troveranno ad affrontare l'elezione del proprio presidente, elezioni che mai come in questo periodo appaiono controverse sia per gli elettori, sfiduciati e delusi dal sistema politico in generale, che per i candidati stessi che si sono trovati contro i rappresentanti del loro stesso partito (vedi Trump con una parte dei Repubblicano che hanno raccolto firme per evitare che si appoggiasse la sua campagna) sia l'opinione pubblica (vedi Clinton con gli scandali sempre più numerosi riguardanti l'invio e soprattutto la cancellazione di mail compromettenti)

Intanto, da tempo le dichiarazioni dei vari rappresentanti, votanti e non, del Fomc, il braccio operativo della Fed, hanno lasciato molti dubbi circa la reale capacità della Fed di gestire la situazione, peggiorando al contempo anche il nervosismo dei mercati, intimoriti dal sospetto che le armi in mano alle banche centrali, ormai unico market mover, siano sempre più spuntate. Una crescita futura vista ocme bassa e tassi di interesse altrettanto bassi, sono premesse di una fragilità intrinseca dell'intero sistema economico in caso di recessione.

La paura di una recessione

L'attesa è durata fin troppo, per i falchi; le elezioni sono un fattore destabilizzante di per sé, meglio evitare altre scosse, rispondono le colombe. Al centro una discussione che solo in apparenza è teorica ossia l'individuazione del tasso neutrale, cioè il punto di equilibrio sui tassi di interesse, che non alteri l'andamento economico né da un lato, favorendolo, né dall'altro cioè zavorrandolo: finora il livello era inteso intorno al 4- 4,5% ma sarebbero valori non più validi perché elaborati stando a crescite e parametri che ormai non esistono più. Gli Usa non sono più la locomotiva del mondo e qualora lo fossero ancora non sarebbe di un mondo in corsa, bensì con l'affanno. La crescita futura sarà inesorabilmente più bassa di quella passata, da qui la necessità di bassi tassi di interesse, di una nuova sfida per il sistema di credito, di nuove incertezze per l'economia. In altre parole l'arrivo della "Nuova Normalità".

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